Volodyk - Paolini1-Eragon.doc
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Volodyk - Paolini1-Eragon.doc краткое содержание
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Gli Urgali erano alle spalle di Eragon; sentiva i loro passi crepitare sulla ghiaia. Con un selvaggio grido di guerra, si tuffò dietro Murtagh, chiudendo gli occhi un attimo prima che l'acqua gelida lo colpisse.
Il peso terribile della cascata gli piovve sulle spalle con una potenza inaudita; il suo boato indifferente gli riempì le orecchie. Fu trascinato sul fondo, dove si sbucciò le ginocchia contro il letto roccioso del lago. Fece leva con le gambe e schizzò fuori dall'acqua con tutto il torso, ma prima che riuscisse a prendere una boccata d'aria, la cascata lo spinse di nuovo sotto. Non riusciva a vedere altro che una bianca macchia indistinta mentre la spuma gli vorticava intorno. Cercò freneticamente di raggiungere la superficie, per espandere i polmoni in fiamme, ma riuscì a fare appena una bracciata e il diluvio gli impedì di risalire. Il panico prese il sopravvento, ed Eragon cominciò a dibattersi, lottando contro l'acqua. Appesantito da Zar'roc e dai vestiti bagnati, affondò di nuovo, incapace di pronunciare le antiche parole che lo avrebbero salvato.
All'improvviso una mano forte lo afferrò per il collo della tunica e lo trascinò fuori dall'acqua. Il suo salvatore fendeva il lago con rapide e potenti bracciate. Eragon sperò che fosse Murtagh e non un Urgali. Raggiunsero la spiaggia di ciottoli ed Eragon prese a tremare violentemente: tutto il suo corpo era scosso da terribili spasmi,
Un fragore di combattimento proruppe alla sua destra; si volse, aspettandosi una carica di Urgali. I mostri sulla riva opposta cadevano sotto una pioggia di frecce scagliate dai crepacci che costellavano la rupe. Decine di Urgali già galleggiavano a pancia in su nell'acqua, trafitti da molti dardi. Quelli sulla stessa riva di Eragon subivano la stessa sorte: non potevano riunirsi, né ritirarsi da quella posizione scoperta, poiché schiere di guerrieri erano comparse alle loro spalle, dove il lago incontrava la parete della montagna. L'unica cosa che impedì al Kull più vicino di avventarsi su Eragon fu la pioggia costante di frecce: gli arcieri 'invisibili sembravano decisi a dare del filo da torcere agli Urgali,
Una voce roca accanto a lui disse: «Akh Guntéraz dorzàda! Ma che cosa credevi? Stavi per annegare!» Eragon si voltò, sorpreso. Non c'era Murtagh vicino a lui, ma un uomo piccolo, che gli arrivava appena al gomito.
Il nano era impegnato a strizzarsi la lunga barba intrecciata. Aveva il torace ampio e robusto, e portava una cotta di maglia senza maniche, da cui spuntavano le braccia tozze e muscolose. Intorno alla vita aveva una cintura a cui era appesa un'ascia di guerra. In testa portava una calotta di cuoio cerchiata di ferro, con il simbolo di un martello circondato da dodici stelle. Nonostante l'elmetto, a stento. sfiorava i quattro piedi di altezza. Guardò con desiderio la battaglia e disse: « Barzul, come mi piacerebbe tuffarmi nella mischia!»
Un nano! Eragon estrasse Zar'roc e si guardò intorno, in cerca di Saphira e Murtagh. Nella rupe si erano aperti due portali di pietra alti dodici piedi, che si affacciavano su un lungo tunnel, alto quasi trenta piedi, che si snodava nelle misteriose profondità della montagna. Una fila di lampade senza fiamma emanava ima pallida luce azzurrognola che si riversava sul lago.
Saphira e Mùrtagh erano davanti al tunnel, circondati da uno strano miscuglio di uomini e nani. Vicino a Murtagh c'era un uomo calvo, senza barba, vestito di un lungo abito oro e porpora. Era più alto degli altri umani, e teneva un pugnale alla gola di Murtagh.
Eragon fece per evocare il potere, ma l'uomo dal lungo vestito disse con voce aspra, minacciosa: «Fermati! Se usi la magia, ucciderò il tuo caro amico, che è stato così gentile da dirci che sei un Cavaliere. Non credere che io non sappia che cosa stai facendo. Non puoi nascondermi niente.» Eragon cercò di parlare, ma l'uomo scoprì i denti e premette più forte il coltello contro la gola di Murtagh. «Non fiatare! Se dici o fai qualcosa che non ti ho ordinato, lui morirà. E ora, tutti dentro.» Tornò nel tunnel; spingendo Murtagh davanti a sé senza smettere di tenere d'occhio Eragon. Saphira, che cosa devo fare? chiese rapido Eragon, mentre gli uomini e i nani seguivano il sequestratore di Murtagh, portando i cavalli con sé.
Va' con loro, gli suggerì lei, e spera che restiamo in vita. Entrò anche lei nel tunnel, attirandosi occhiate nervose. A malincuore, Eragon la seguì, sentendo il peso degli sguardi dei guerrieri. Il suo salvatore, il nano, camminava al suo fianco, una mano posata sull'impugnatura dell'ascia. Esausto, Eragon entrò barcollando nel ventre della montagna. I portali di pietra si richiusero alle loro spalle quasi senza far rumore, Eragon si guardò indietro e vide una parete ininterrotta lì dove un attimo prima c'era l'apertura. Erano in trappola. Ma erano al sicuro?
IN CERCA DI RISPOSTE
«D
i qua» ordinò l'uomo calvo. Fece un passo indietro, il pugnale sempre premuto contro il mento di Murtagh, poi voltò a destra per imboccare una porta ad arco. I guerrieri lo seguirono prudenti, concentrati su Eragon e Saphira. I cavalli furono scortati in un
altro tunnel.
Stordito dal turbine di eventi, Eragon si affrettò a seguire Murtagh. Scoccò un'occhiata a Saphira per avere la conferma che Arya fosse ancora legata sulla sua sella. Deve prendere l'antidoto! pensò, in preda al panico, sapendo che anche in quel momento lo Skilna Bragh stava scavando la sua strada di morte nella carne dell'elfa.
Seguì l'uomo calvo lungo uno stretto corridoio, sempre sotto la minaccia delle armi. Passarono davanti alla scultura, di uno strano animale con folte penne. Il corridoio piegò a sinistra, poi a destra. Si aprì una porta ed entrarono in una stanza spoglia, grande abbastanza perché Saphira vi si potesse muovere con agio. Si udì un cupo rimbombo quando la porta si chiuse, seguito da un raspare metallico che segnalò lo scatto del chiavistello.
Eragon studiò la sala, con Zar'roc ancora stretta in pugno. Le pareti, il pavimento e il soffitto erano di lucido marmo bianco, che rifletteva l'immagine spettrale di ogni presente, come uno specchio di latte screziato. In ciascuno degli angoli splendeva una delle insolite lanterne. «C'è qualcuno...» cominciò a dire Eragon, ma l'uomo calvo lo zittì con un gesto.
«Non parlare! Devi aspettare finché non sarai stato messo alla prova.» Spinse Murtagh contro uno dei guerrieri, che subito gli premette la lama sulla gola. L'uomo calvo giunse le mani. «Togliti le armi e dammele.» Un nano sganciò la spada di Murtagh e la lasciò cadere a terra con un sonoro clangore.
Pur restio a separarsi da Zar'roc, Eragon slacciò il fodero e lo depose, insieme alla spada, sul pavimento. Vicino posò l'arco e la faretra, e poi spinse le armi verso i guerrieri. «Ora allontanati dal drago e avvicinati a me, lentamente» ordinò l'uomo calvo.
Sconcertato, Eragon fece qualche passo avanti, ma quando furono a meno di un metro di distanza, l'uomo disse: «Fermati lì! Ora, elimina le difese che circondano la tua mente e preparati a farmi ispezionare i tuoi pensieri e i tuoi ricordi. Se provi a nascondermi qualcosa, prenderò quello che voglio con la forza... e questo ti farà impazzire. Se non ti sottometti, il tuo compagno verrà ucciso.» «Perché?» chiese Eragon, atterrito.
«Per assicurarmi che non sei al servizio di Galbatorix e per capire perché centinaia di Urgali bussano alla nostra porta» ringhiò l’uomo calvo. I suoi occhi molto vicini non smettevano di guizzare da una parte e dall'altra. «Nessuno può entrare nel Farthen Pur senza aver passato l'esame.» «Non c'è tempo. Abbiamo bisogno di un guaritore!» protestò Eragon.
«Silenzio!» ruggì L’uomo, stringendo con le dita lunghe e scarne i bordi del mantello. «Finché non avrai risposto, le tue parole non hanno significato!»
«Ma sta morendo!» ribattè Eragon infuriato, indicando Arya. Erano in una situazione difficile, ma non avrebbe permesso che accadesse nulla finché qualcuno non si fosse preso cura di Arya. «Dovrà aspettare! Nessuno uscirà di qui finché non avremo scoperto la verità. A meno che...» Il nano che aveva salvato Eragon dal lago s'intromise nella discussione. «Ma sei cieco, Egraz Carn? Non vedi che c'è un'elfa in sella al drago? Non possiamo tenerla qui, se è in pericolo di vita. Ajihad e il re pretenderanno la nostra testa, se la lasciamo morire!»
Gli occhi dell'uomo calvo si ridussero a due fessure lampeggianti di collera. Dopo qualche istante, riprese il controllo e disse: «Ma certo. Orik, non vogliamo che questo accada.» Schioccò due dita e indicò Arya. «Fatela scendere di lì.» Due guerrieri umani rinfoderarono le spade e si avvicinarono esitanti a Saphira, che li fissò truce. «Svelti, svelti!»
Gli uomini slegarono Arya dalla sella e deposero l'elfa sul suolo. Uno degli uomini ne scrutò il volto, poi esclamò, sorpreso: «È la portatrice dell'uovo di drago. Arya!»
«Che cosa?» esclamò l'uomo calvo. Gli occhi del nano Orik si spalancarono per lo stupore. L'uomo calvo squadrò Eragon con rinnovata curiosità e disse: «Dovrai darci parecchie spiegazioni.» Eragon sostenne il suo sguardo con determinazione. «È stata avvelentata con lo Skilna Bragh mentre era in prigione. Soltanto il Nettare di Tùnivor può salvarla.»
Il volto dell'uomo divenne una maschera impassibile. Rimase immobile; solo le sue labbra si contraevano ogni tanto. «D'accordo. Portatela dai guaritori, e dite loro che cosa le occorre. Sorvegliatela finché la cerimonia non sarà completata. Poi avrò altri ordini per voi.» I guerrieri annuirono e trasportarono Arya fuori dalla stanza. Eragon li guardò uscire, col desiderio di accompagnarli. La sua attenzione tornò sull'uomo calvo, che disse; «Ora basta, abbiamo già perso troppo tempo. Preparati a essere esaminato.»
Eragon non voleva che quell'arrogante testa di biglia gli frugasse nella mente, mettendo a nudo ogni suo pensiero o emozione, ma sapeva che resistere sarebbe stato inutile. L'aria era tesa. Lo sguardo di Murtagh gli bruciava la fronte. Alla fine chinò il capo e disse: «Sono pronto.»
«Bene, allora...»
L'uomo calvo fu di nuovo interrotto da Orik, che disse in tono aspro: «Sarà meglio che tu non gli faccia del male, Egraz Carn, altrimenti il re avrà qualcosa da dirti.»
L'uomo calvo gli rivolse uno sguardo irritato, poi si voltò verso Eragon con un sorriso maligno. «Solo se resiste.» Chinò il capo e cominciò a pronunciare una serie di parole impercettibili. Eragon risucchiò il fiato con un gemito di dolore quando qualcosa di acuto gli trafisse la mente all'improvviso.
Sgranò gli occhi e cominciò a innalzare barriere intorno alla propria coscienza. L'attacco era di una potenza inaudita.
Non farlo! gridò Saphira. I suoi pensieri si unirono a quelli di lui, donandogli forza. Così metti in pericolo Murtagh! Eragon esitò, digrignò i denti, poi si costrinse ad abbassare le difese, esponendosi all'indagine. Un sentore di delusione emanava dall'uomo calvo, che intensificò il suo attacco. La forza sprigionata dalla sua mente aveva qualcosa di marcio, di malsano; c'era un che di profondamente sbagliato in essa.
Vuole che mi opponga! esclamò Eragon mentre una nuova ondata di dolore lo travolgeva. Un secondo dopo parve calare, ma solo per essere sostituita da una terza. Saphira fece del suo meglio per sopprimerla, ma nemmeno lei poteva arginarla.
Dagli quello che vuole, suggerì, frenetica, ma proteggi il resto. Ti aiuterò io. La sua forza è superiore alla mia, e già sto consumando le mie energie per schermare il nostro dialogo. Ma perché fa male?
Il dolore viene da te.
Eragon fece una smorfia mentre l'indagine scavava più a fondo, cercando informazioni, come un chiodo infilato nel suo cranio. L'uomo calvo trovò i suoi ricordi d'infanzia e prese a sfogliarli. Quelli non gli servono... fallo uscire di lì! gridò Eragon, infuriato.
Non posso senza metterti in pericolo, disse Saphira. Posso nascondergli le cose, ma prima che le veda. Pensa in fretta, e dimmi che cosa vuoi che nasconda!
Eragon cercò di concentrarsi, nonostante il dolore. Ripercorse rapido tutti i suoi ricordi, da quando aveva trovato l'uovo di Saphira. Nascose parti delle sue conversazioni con Brom, comprese le parole antiche che il vecchio gli aveva insegnato, mentre lasciò intatti i ricordi dei viaggi attraverso la Valle Palancar, Yazuac. Daret e Teirm. Chiese però a Saphira di nascondere tutto ciò che ricordava di Angela l'indovina e di Solembum. Saltò dal furto commesso nella fortezza di Teirm alla morte di Brom, dalla prigionia a Gil'ead alla rivelazione di Murtagh della propria vera identità. Eragon avrebbe voluto nascondere anche quella, ma Saphira si rifiutò. I Varden hanno il diritto di sapere a chi stanno dando asilo, specie se è il figlio di un Rinnegato!
Fallo e basta, si ostinò Eragon, lottando contro un'altra ondata di dolore. Non voglio essere io a rivelarlo, almeno non a quest'uomo.
Lo scoprirà non appena esaminerà Murtagh, lo avvertì Saphira.
Fallo, ho detto.
Nascosta l'informazione più importante, Eragon non potè far altro che aspettare che l'uomo calvo portasse a termine la sua ispezione. Era come restare immobile mentre ti vengono strappate le unghie con una pinza arrugginita. Il suo corpo era rigido, la mascella serrata. La stia pelle emanava un forte calore e un rivolo di sudore gli colava dietro il collo. Sentiva ogni secondo, e i minuti passavano con esasperante lentezza.
Il calvo si aggirava pigramente fra le sue esperienze, come un rampicante spinoso che si fa strada verso il sole. Prestava attenzione a molte cose che Eragon considerava irrilevanti, come sua madre, Selena, e parve indugiarvi di proposito, per prolungare la sofferenza. Passò molto tempo a sfogliare i ricordi dei Ra'zac e poi dello Spettro. Soltanto quando ebbe scandagliato tutte le avventure di Eragon, l'uomo calvo cominciò a ritirarsi dalla sua mente.
Quando ne uscì, a Eragon parve che gli sfilassero una scheggia dal cervello. Rabbrividì, vacillò e si accasciò a terra. Un paio di braccia robuste lo afferrarono un istante prima che toccasse il pavimento, adagiandolo con delicatezza sul freddo marmo. Sentì Orik che esclamava alle sue spalle: «Hai esagerato! Non era abbastanza forte per questo.»
«Sopravviverà, ed è questo che conta» rispose gelido l'uomo calvo.
Il nano sbuffò, seccato, poi chiese: «Cos'hai trovato?»
Silenzio.
«Allora, ci possiamo fidare o no?»
Le parole giunsero stentate. «Lui... non è vostro nemico.» In tutta la stanza echeggiarono sospiri di sollievo.
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