Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Volodyk - Paolini3-Brisingr краткое содержание
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Dopo essersi unito al contingente di Martland, Roran si era presentato nella sua tenda. Il duca era basso e, avendo trascorso una vita a cavalcare e a maneggiare spade, aveva membra forti. La barba che gli aveva meritato il soprannome era folta e ben curata e gli arrivava a metà del petto. Dopo aver osservato Roran, il conte aveva detto: "Lady Nasuada mi ha detto grandi cose di te, ragazzo, e ho sentito molto altro dai miei uomini, per non parlare di voci, pettegolezzi, dicerie e cose simili. Lo sai com'è che funziona, no? Non c'è dubbio, hai compiuto gesta degne di nota: affrontare i Ra'zac nel loro covo, per esempio, è stata un'impresa davvero non da poco. Certo, potevi contare sull'aiuto di tuo cugino, eh? Forse con la gente del tuo villaggio sei abituato a fare il bello e il cattivo tempo, ma adesso sei uno dei Varden, ragazzo. Anzi, adesso sei uno dei miei guerrieri. Non siamo la tua famiglia. Non siamo i tuoi vicini di casa. E non dare per scontato che siamo tuoi amici. Il nostro compito è eseguire gli ordini di Nasuada, e li eseguiremo, qualunque sia il nostro giudizio in merito. Finché presterai servizio sotto di me, farai ciò che ti dico, quando te lo dico e come te lo dico, o giuro sulle ossa della mia povera mamma... che possa riposare in pace... che ti frusterò di persona fino a spellarti vivo, e non m'importa un fico secco di chi sei parente. Hai capito?"
"Sissignore!"
"Ottimo. Se ti comporterai bene, dimostrerai di avere buon senso e soprattutto se venderai cara la pelle, tra i Varden potrai fare carriera in fretta: basta essere determinati. Tuttavia sarò io a decidere se ritenerti degno di comandare un manipolo di uomini. Ma non credere nemmeno per un istante... per un solo maledetto istante, capito?... di potermi adulare e conquistarti così i miei favori. Che io ti piaccia o che tu mi odi sono affari tuoi. L'unica cosa che mi interessa è che tu ci sappia fare."
"Tutto chiaro, signore!"
"Sì, lo spero proprio, Fortemartello. Lo scopriremo presto. Adesso va', presentati da Ulhart, il mio braccio destro."
Roran ingoiò gli ultimi tozzi di pane e li accompagnò con un sorso di vino preso dalla bisaccia. Avrebbe preferito consumare un pasto caldo, quella sera, ma erano in pieno territorio nemico e se avessero acceso il fuoco i soldati dell'Impero avrebbero potuto individuarli. Con un sospiro allungò le gambe. Negli ultimi tre giorni aveva cavalcato Fiammabianca dal tramonto all'alba e gli facevano male le ginocchia.
Nei recessi della mente, giorno e notte Roran sentiva una debole ma costante pressione, un prurito che lo spingeva sempre nella stessa direzione: Katrina. La fonte di quella sensazione era l'anello che gli aveva dato Eragon. Gli era di grande conforto sapere che grazie a esso lui e Katrina si sarebbero sempre potuti ritrovare in qualunque punto di Alagaësia, anche se fossero diventati entrambi sordi e ciechi.
Accanto a sé sentì Carn borbottare frasi nell'antica lingua e sorrise. Era il loro stregone, mandato per assicurarsi che non venissero uccisi da un mago nemico con un semplice cenno della mano. Da qualche compagno Roran aveva appreso che non era molto potente, anzi, per lanciare un incantesimo doveva sforzarsi, e non poco, ma compensava la propria debolezza inventando formule magiche di straordinaria astuzia e insinuandosi nelle menti degli avversari con abilità. Carn era magro, sia di viso sia di corpo, teneva gli occhi sempre socchiusi e aveva l'aria nervosa e impulsiva. A Roran era piaciuto subito.
Di fronte a lui, altri due uomini, Halmar e Ferth, erano seduti davanti alla loro tenda. Halmar diceva all'altro: «Allora, quando i soldati vennero a prenderlo, lui radunò gli uomini all'interno della sua proprietà e diede fuoco alle pozze d'olio che i servi avevano versato, intrappolando così i soldati e facendo credere a chi arrivò dopo che fossero tutti morti carbonizzati. Ma ci pensi? Uccise cinquecento soldati in un colpo solo, e senza sguainare nemmeno la spada!»
«Come fece a fuggire?» chiese Ferth.
«Il nonno di Barbarossa era un gran bastardo, oh, sì, ma era anche molto astuto. Aveva fatto scavare un tunnel che dal palazzo arrivava fino al fiume più vicino. Passando di lì, Barbarossa riuscì a mettere in salvo la sua famiglia e tutti i suoi servitori, poi li portò nel Surda, dove re Larkin diede loro rifugio. Passarono molti anni prima che Galbatorix scoprisse che erano ancora vivi. Siamo fortunati a essere con lui, puoi starne certo. Ha perso solo due battaglie, e in entrambi i casi per colpa della magia.»
Vedendo arrivare Ulhart in mezzo alla fila di sedici tende, Halmar tacque. Il veterano dal volto arcigno si fermò a gambe larghe, immobile come una quercia con le radici ben piantate in terra, e passò in rassegna le tende per verificare che non mancasse nessuno all'appello. «Il sole è tramontato, tutti a dormire» ordinò. «Si parte due ore prima dell'alba. Il convoglio dev'essere sette miglia a nord-ovest da qui. Se arriviamo in tempo, li attaccheremo non appena cominciano a muoversi. Uccidiamo tutti, appicchiamo il fuoco e poi torniamo indietro. Sapete come fare, no? Fortemartello, tu vieni con me. Fai qualche sciocchezza e ti sventro come un pesce con un amo aguzzo.» Gli uomini ridacchiarono. «Forza, andate a dormire.»
Il vento sferzava Roran in pieno volto. Il sangue gli pulsava forte nelle vene, tanto da soffocare ogni altro suono. Fiammabianca era lanciato al galoppo. Il suo campo visivo era limitato; non vedeva nulla, a parte due soldati in sella a giumente marroni accanto al penultimo carro della carovana dei rifornimenti.
Levando il martello sopra la testa, gridò con tutte le sue forze. I due soldati vennero colti alla sprovvista e presero ad armeggiare con le armi e gli scudi. A uno di loro cadde la lancia e l'uomo si chinò a raccoglierla.
Roran tirò le redini per rallentare il passo di Fiammabianca, poi si alzò sulle staffe e, portatosi a fianco del primo soldato, lo colpì sulla spalla, squarciandogli la cotta di maglia. L'uomo gridò, e il braccio gli ricadde lungo il corpo. Roran lo finì con un colpo di rovescio.
Recuperata la lancia, l'altro soldato cercò di colpire Roran al collo, e quello si riparò abbassandosi dietro lo scudo rotondo. Ogni volta che la punta della lancia cozzava contro il legno, lo scudo vibrava. Roran strinse le gambe attorno ai fianchi di Fiammabianca, che si impennò, poi prese a nitrire e a scalciare con gli zoccoli ferrati. Lo stallone colpì il soldato al petto, strappandogli la tunica rossa. Non appena il cavallo si fu calmato, Roran fece roteare il martello di lato e gli squarciò la gola.
Lasciandolo agonizzante a terra, spronò Fiammabianca verso il carro successivo, dove Ulhart stava combattendo da solo contro tre soldati. Ogni carro era tirato da quattro buoi, e mentre Fiammabianca superava il carro appena conquistato, il bue in prima fila voltò la testa, infilando la punta del corno nella gamba destra di Roran, che si ritrovò con il fiato mozzato dal dolore. Fu come se un ferro incandescente gli avesse perforato la carne; Roran guardò in basso e vide penzolare un lembo dello stivale con un brandello di pelle e muscoli appeso.
Lanciando un altro grido bellicoso, raggiunse il più vicino dei tre soldati contro cui stava lottando Ulhart e lo abbatté con un solo colpo di martello. L'altro soldato però riuscì a schivare il suo affondo, girò il cavallo e fuggì.
«Prendilo!» gli gridò Ulhart, ma lui si era già lanciato all'inseguimento.
Il soldato in fuga conficcò gli speroni nella pancia del cavallo fino a farlo sanguinare, ma nonostante quella disperata crudeltà non poté competere con Fiammabianca. Mentre lo stallone sfrecciava a un'incredibile velocità, Roran si abbassò. Compreso che era impossibile sperare di fuggire, il soldato tirò le redini, si voltò e lo colpì con la sciabola. Roran alzò il martello e riuscì a deviare appena in tempo la lama affilata come un rasoio. Poi fece roteare l'arma sopra la testa, ma il soldato la schivò e lo colpì alle braccia e alle gambe altre due volte. Roran imprecò a fior di labbra. Il soldato era ovviamente più esperto di lui con la spada; se non fosse riuscito a sconfiggerlo nel giro di qualche secondo, l'avrebbe ucciso di sicuro.
Il soldato doveva avere intuito il proprio vantaggio, perché i suoi attacchi si fecero ancora più serrati. In ben tre occasioni Roran fu certo che la sciabola del suo avversario l'avrebbe colpito, ma ogni volta all'ultimo momento la lama lo mancava, deviata da una forza invisibile. Allora si ricordò con riconoscenza degli incantesimi di difesa pronunciati da Eragon.
Non sapendo che altro fare, si affidò alla sorpresa: protese il collo e la testa e gridò «Buh!» come se volesse spaventare qualcuno in un corridoio buio. Il soldato trasalì e Roran si chinò e gli piantò il martello nel ginocchio sinistro. L'uomo impallidì dal dolore. Prima che potesse riprendersi, Roran lo colpì all'altezza del coccige e poi, mentre l'altro gridava e inarcava la schiena, pose fine alle sue sofferenze con una rapida mazzata alla testa.
Rimase seduto un momento, senza fiato, poi tirò le redini di Fiammabianca e lo spronò al piccolo galoppo verso il convoglio. Guardandosi intorno rapido, attratto da ogni minimo movimento, Roran fece il punto della situazione. Gran parte dei soldati erano già morti, così come i civili che conducevano i carri. Vicino alla testa del convoglio, Carn era in piedi di fronte a un uomo alto con una lunga veste; tranne qualche piccolo fremito di tanto in tanto, unico segnale dell'invisibile duello in corso, erano entrambi immobili. Roran vide l'avversario di Carn cadere a terra.
A metà convoglio, tuttavia, cinque soldati intraprendenti si erano asserragliati all'interno di tre carri senza buoi disposti a triangolo, e sembrava che riuscissero a tenere in scacco Martland Barbarossa e altri dieci Varden. Quattro di loro erano armati di lancia; il quinto prese a scoccare frecce, obbligandoli a riparare dietro il carro più vicino. L'arciere aveva già ferito parecchi avversari: alcuni erano caduti da cavallo, altri erano riusciti a restare in sella abbastanza a lungo da trovare un rifugio.
Roran si accigliò. Non potevano permettersi di perdere tempo su una delle strade più battute dell'Impero, e poi andavano troppo a rilento. Il tempo era tiranno.
Tutti i soldati erano rivolti a ovest, la direzione da cui i Varden avevano attaccato. Oltre a Roran, nessuno si era portato dalla parte opposta del convoglio; dunque i nemici ignoravano che stava per attaccarli da est.
Escogitò un piano. In altre circostanze l'avrebbe scartato perché ridicolo e impraticabile, ma in quel momento gli parve l'unica azione che avrebbe potuto porre fine a quel momento di stallo. Non si preoccupò di considerare il pericolo che lui stesso avrebbe corso; quando la carica era cominciata, la paura di morire o di restare ferito era svanita.
Lanciò Fiammabianca al galoppo. Afferrò il bordo della sella, posò appena le punte degli stivali sulle staffe e tese i muscoli. Quando fu a una cinquantina di piedi dal triangolo di carri, si diede una spinta, si issò sulla sella e rimase accucciato. Gli ci vollero tutta l'abilità e la concentrazione di cui era capace per mantenere l'equilibrio. Come aveva previsto, Fiammabianca diminuì la velocità e virò di lato a mano a mano che i carri si avvicinavano.
Non appena lo stallone si fu voltato, Roran lasciò le redini e balzò giù da cavallo, spiccando un gran salto e atterrando sul carro rivolto a est. Si sentì lo stomaco sottosopra. Colse di sfuggita il volto dell'arciere, gli occhi rotondi profilati di bianco, poi gli si avventò contro e rovinarono entrambi a terra. Il corpo del nemico attutì la sua caduta. Mettendosi in ginocchio, Roran levò lo scudo e lo piantò tra l'elmo e la tunica del soldato, spezzandogli il collo; poi si alzò.
Gli altri quattro soldati reagirono con lentezza. Quello a sinistra fece l'errore di cercare di portare con sé la lancia nel triangolo formato dai carri, ma la lunga arma si incastrò tra il retro di un carro e la ruota davanti di un altro, e gli si spezzò fra le mani. Roran gli si avventò contro. Il soldato cercò di battere in ritirata, ma i carri gli bloccavano la via di fuga. Roran fece roteare il martello e lo colpì sotto il mento.
Il secondo soldato fu più astuto. Lasciò andare la lancia e tentò di sfoderare la spada che teneva alla cintura, ma riuscì solo a sguainare la lama per metà prima che Roran lo colpisse al petto.
Ormai il terzo e il quarto soldato erano pronti per affrontarlo. Puntarono su di lui, le spade tese, un ghigno in volto. Roran cercò di schivarli, ma la gamba ferita lo tradì; inciampò e cadde su un ginocchio. Riuscì a bloccare con lo scudo un fendente, poi si gettò in avanti e fracassò il piede di uno dei due soldati con il lato piatto del martello. L'uomo crollò a terra imprecando e un istante dopo Roran gli fracassò il volto; poi cadde di schiena, anche se sapeva che l'ultimo soldato era proprio dietro di lui.
Pietrificato, rimase disteso a braccia e gambe aperte.
Il soldato era sopra di lui con la spada tesa, la punta della lama scintillante a meno di un pollice dalla sua gola.
Dunque è giunta la mia ora, pensò.
Poi attorno al collo dell'uomo comparve un braccio nerboruto, che lo strattonò all'indietro. Il soldato emise un grido strozzato mentre dal petto gli spuntavano la lama di una spada e uno schizzo di sangue, poi crollò a terra, inerte, e dietro di lui apparve Martin Barbarossa. Il duca aveva il respiro affannoso e la barba e il petto insanguinati.
Poi infilzò la spada nel terreno, si appoggiò sul pomello e osservò la carneficina all'interno del triangolo di carri. Annuì. «Sì, credo che tu ci sappia fare.»
Roran si sedette in fondo a un carro, mordendosi la lingua mentre Carn gli tagliava il resto dello stivale per sfilarglielo. Cercando di ignorare le stilettate di dolore alla gamba, guardò gli avvoltoi volargli in circolo sopra la testa e si concentrò sui ricordi di casa sua, nella Valle Palancar.
Mentre Carn esaminava in profondità lo squarcio, grugnì.
«Mi dispiace, ma devo ispezionare la ferita» gli disse lo stregone. Roran continuò a fissare gli avvoltoi e non rispose. Un minuto dopo,
Carn pronunciò una serie di parole nell'antica lingua, e trascorso qualche secondo Roran avvertì che le fitte si trasformavano in un dolore sordo e continuo. Poi guardò la gamba e scoprì che era perfettamente guarita.
Per lo sforzo di curare lui e altri due uomini prima, il mago era grigio in volto e tremava. Si accasciò contro il carro, abbracciandosi il busto, un'espressione nauseata in viso.
«Stai bene?» gli chiese Roran.
Carn alzò appena le spalle. «Dammi un attimo e mi riprenderò... Il bue ti ha lacerato solo la parte esterna dell'osso della gamba. Ho curato la ferita solo in superficie, ma non avevo la forza per guarirla completamente. Ti ho dato dei punti per tenere insieme la pelle e il muscolo, così sanguineranno meno e non ti faranno troppo male. I punti non reggeranno a lungo; ma la carne deve guarire da sola.»
«Quanto tempo ci vorrà?»
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