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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Название:
Paolini3-Brisingr
Автор
Издательство:
неизвестно
ISBN:
нет данных
Год:
неизвестен
Дата добавления:
5 октябрь 2019
Количество просмотров:
88
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Volodyk - Paolini3-Brisingr

Volodyk - Paolini3-Brisingr краткое содержание

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La rivelazione, la domanda e la conseguente proposta di Gannel sollevarono un animato brusio tra i capiclan, che presero a lanciarsi accuse, negarle e ribattere con crescente animosità, finché, mentre un infuriato Thordris stava gridando contro un paonazzo Gàldhiem, Orik si schiarì di nuovo la voce. Tutti tacquero e si voltarono a fissarlo.

«Credo di poterti spiegare anche questo, Gannel, almeno in parte» disse in tono calmo Orik. «Non posso parlare anche a nome degli altri clan, ma ammetto che tra i guerrieri che correvano per le sale della servitù a Tronjheim diverse centinaia appartenevano al Dûrgrimst Ingeitum.»

Calò il silenzio, finché non intervenne Íorûnn: «E che spiegazione hai per questo comportamento bellicoso, Orik, figlio di Thrifk?»

«Come ho detto prima, leggiadra Íorûnn, la mia risposta non può che essere lunga; dunque, se Gannel ha altre domande da porre, gli suggerisco di procedere.»

Gannel arricciò ancora di più la fronte, finché le cespugliose sopracciglia non arrivarono quasi a toccarsi. «Per il momento le terrò per me, perché comunque sono legate a quelle di prima e a quanto pare dobbiamo aspettare i tuoi comodi per saperne di più sull'accaduto. Tuttavia, poiché sei immerso fino al collo in queste ambigue attività, mi è venuta in mente una nuova domanda che voglio porre a te in particolare, Grimstborith Orik. Per quale ragione hai disertato il raduno di ieri? Voglio metterti in guardia: non tollererò risposte evasive. Hai già dichiarato di essere a conoscenza di certe cose. Bene, è giunto il momento che tu dia un resoconto completo dei tuoi spostamenti di ieri.»

Senza nemmeno aspettare che Gannel si sedesse, Orik si alzò e rispose: «Con piacere.»

Chinando il mento barbuto fino al petto, fece una breve pausa e poi prese a parlare con voce sonora, ma non cominciò dal punto che si aspettava Eragon, e forse anche il resto dei presenti. Invece di descrivere l'attentato contro il fratello adottivo e spiegare così perché aveva abbandonato la consulta, cominciò a raccontare che agli albori della storia il popolo dei nani era emigrato dal Deserto di Hadarac, un tempo verdeggiante, fino ai Monti Beor, dove aveva scavato infinite miglia di tunnel e costruito maestose città sopra e sotto la superficie terrestre. Poi parlò delle grandi guerre tra le varie fazioni e contro i draghi, che per migliaia di anni i nani avevano trattato con un misto di odio, paura e riluttante soggezione. E infine narrò dell'arrivo degli elfi in Alagaësia, di come avevano combattuto contro i draghi fin quasi a sterminarsi a vicenda e della conseguente alleanza tra le due razze, che avevano fondato i Cavalieri dei Draghi per mantenere la pace.

«E quale fu la nostra risposta quando apprendemmo le loro intenzioni?» domandò Orik con voce tonante. «Chiedemmo loro di essere inclusi nel patto? Aspirammo a condividere il potere dei Cavalieri dei Draghi? No! Fedeli alle nostre abitudini e all'antico odio verso i draghi, rifiutammo anche il solo pensiero di allearci con loro o di permettere a chiunque fosse estraneo al nostro regno di vegliare su di noi. Per preservare la nostra autorità, sacrificammo il nostro futuro, perché sono convinto che se ci fosse stato un Cavaliere knurlan, Galbatorix non sarebbe mai salito al potere. Se anche mi sbagliassi - e badate bene, non voglio sminuire Eragon, che si è dimostrato un ottimo Cavaliere - forse l'uovo della dragonessa Saphira si sarebbe dischiuso tra le mani di uno di noi e non di un umano. Riuscite a immaginare quale gloria avremmo potuto ricavarne?

«Invece, da quando la regina Tarmunora e l'omonimo di Eragon siglarono la pace con i draghi, la nostra importanza in Alagaësia si è ridotta. All'inizio essere sminuiti non fu un boccone poi così amaro da ingoiare, e spesso fu più facile negarlo che accettarlo. Ma poi arrivarono gli Urgali, e poi gli umani, e gli elfi modificarono i loro incantesimi così che anche gli umani potessero diventare Cavalieri. Allora cercammo forse di essere inclusi nel loro accordo, come avremmo potuto, anzi, com'era nostro diritto?» Orik scosse il capo. «Il nostro orgoglio non ce lo consentì. Perché noi, la razza più antica della terra, avremmo dovuto implorare gli elfi per godere dei benefici della loro magia? Noi non avevamo bisogno di assoggettare il nostro destino a quello dei draghi per salvare la nostra razza dalla distruzione, come invece fecero gli elfi e gli umani. Ovviamente non consideravamo le battaglie tra di noi. A nostro parere erano questioni private e di scarso interesse per chiunque altro.»

I capiclan in ascolto si agitarono sulle sedie. Alla critica di Orik molti aggrottarono la fronte, mentre altri, più sensibili ai suoi commenti, si fecero pensosi.

Orik continuò: «Mentre i Cavalieri vegliavano su Alagaësia, noi vivemmo il periodo di più grande benessere mai registrato negli annali del nostro regno. Prosperammo come mai prima di allora, e tuttavia non avemmo alcuna parte nel processo che diede vita a quell'era fortunata, e non aiutammo i suoi artefici: i Cavalieri dei Draghi. Quando i Cavalieri furono sconfitti, la nostra fortuna vacillò, ma ancora una volta noi non intervenimmo, non facemmo nulla per cambiare le cose. A mio parere, nessuna delle due situazioni si conviene a una razza del nostro calibro. Non siamo un paese di vassalli soggetti ai capricci di padroni stranieri. E chi non discende da Odgar o da Hlordis non dovrebbe dettare il nostro destino.»

Il ragionamento di Orik cominciava a risultare più gradito ai capiclan, che annuirono e sorrisero. All'ultima frase Havard batté le mani.

«Ora, prendiamo in esame la nostra epoca» proseguì Orik. «Galbatorix è in ascesa e tutte le razze combattono per la libertà. Il re è diventato così potente che l'unica ragione per cui non siamo ancora diventati suoi schiavi è che finora non ha scelto di montare in sella al suo drago nero e di attaccarci direttamente. Se lo facesse, cadremmo ai suoi piedi come arbusti travolti da una valanga. Per fortuna pare che si accontenti di aspettare che ci distruggiamo con le nostre mani oltrepassando i cancelli della sua cittadella a Urû'baen. Ora, vi ricordo che prima che Eragon e Saphira si presentassero bagnati e infangati sulla nostra soglia, con un centinaio di Kull ululanti alle calcagna, la nostra unica speranza di sconfiggere Galbatorix era che prima o poi, da qualche parte, l'uovo di Saphira si schiudesse tra le mani del Cavaliere prescelto e che magari, per un colpo di fortuna, questo sconosciuto fosse anche in grado di detronizzarlo. Speranza? Ah! Non ce l'avevamo nemmeno, una speranza; speravamo di avere una speranza. Quando Eragon si presentò a noi la prima volta, molti restarono sgomenti davanti al suo aspetto, me compreso. "Ma è solo un ragazzo" dicevamo. "Non sarebbe stato meglio un elfo?" E invece si è rivelato l'incarnazione di tutte le nostre speranze! Ha ucciso Durza, consentendoci di salvare la nostra città più amata, Tronjheim. La sua dragonessa, Saphira, ha promesso di riportare lo Zaffiro Stellato allo splendore originario. E durante la battaglia delle Pianure Ardenti Eragon ha messo in fuga Murtagh e Castigo, regalandoci la vittoria. Guardatelo! Ora ha assunto le sembianze di un elfo e grazie alla loro strana magia ne ha anche acquisito la velocità e la forza.»

Orik alzò un dito per dare enfasi alle sue parole. «Inoltre re Rothgar, nella sua immensa saggezza, fece ciò che nessun altro re o grimstborith aveva mai fatto; si offrì di adottare Eragon nel Dûrgrimst Ingeitum e di accettarlo come membro della famiglia. Eragon non era costretto ad accettare l'offerta. Anzi, sapeva che molte delle famiglie appartenenti all'Ingeitum erano contrarie e che molti knurlan non l'avrebbero visto di buon occhio. Tuttavia, nonostante la disapprovazione generale e il suo vincolo di fedeltà a Nasuada, Eragon accettò il dono di Rothgar, pur sapendo che la sua vita si sarebbe complicata. Come mi disse lui stesso, prestò giuramento sul Cuore di Pietra per l'obbligo che sentiva nei confronti di tutte le razze di Alagaësia e soprattutto verso la nostra, perché noi, grazie al gesto di Rothgar, avevamo dimostrato a lui e a Saphira tanta gentilezza. Grazie al genio del nostro re, l'ultimo Cavaliere libero di Alagaësia e la nostra unica speranza contro Galbatorix ha scelto spontaneamente di diventare un knurla in tutto e per tutto, tranne che nel sangue. Da allora Eragon ha rispettato tutte le nostre leggi e tradizioni come meglio poteva e ha cercato di apprendere ancora meglio la nostra cultura per poter onorare il vero significato del suo giuramento. Quando Rothgar morì, colpito dal traditore Murtagh, Eragon mi giurò su tutte le pietre di Alagaësia e in qualità di membro dell'Ingeitum che avrebbe fatto di tutto per vendicarne la morte. Mi ha tributato il rispetto e l'obbedienza che mi spettavano in qualità di grimstborith, e sono orgoglioso di considerarlo mio fratello adottivo.»

Eragon chinò il capo, le guance e la punta delle orecchie in fiamme. Avrebbe preferito che Orik non fosse stato così generoso nel tessere le sue lodi, perché d'ora in avanti avrebbe fatto più fatica a mantenere la propria posizione.

Facendo un ampio gesto con le braccia, come se volesse includere gli altri capiclan, Orik esclamò: «Tutto ciò che avremmo mai potuto desiderare in un Cavaliere dei Draghi l'abbiamo trovato in Eragon! Lui esiste davvero! Lui è forte! E ha abbracciato la causa del nostro popolo come nessun altro Cavaliere!» Poi abbassò le braccia e anche il volume della voce, finché Eragon dovette sforzarsi per sentirlo. «E noi come abbiamo risposto alla sua amicizia? Perlopiù con sarcasmo, offese e scontroso risentimento. Siamo una razza di ingrati, lasciatemelo dire, e purtroppo per noi abbiamo una memoria di ferro... C'è anche chi trabocca d'odio al punto da ricorrere alla violenza per placare la propria rabbia. Forse questi individui credono ancora di fare ciò che è meglio per il nostro popolo, ma in tal caso le loro menti sono ammuffite come un pezzo di formaggio dell'anno passato. Altrimenti perché avrebbero tentato di uccidere Eragon?»

I capiclan in ascolto rimasero perfettamente immobili, gli sguardi inchiodati sul viso di Orik. E così concentrati che il grimstborith più corpulento, Freowin, aveva messo da parte la scultura lignea del corvo e aveva intrecciato le mani sull'ampia pancia: sembrava in tutto e per tutto una delle statue dei nani.

Mentre i presenti lo fissavano senza battere ciglio, Orik disse loro dei sette nani vestiti di nero che avevano attaccato Eragon e le sue guardie mentre girovagavano nei cunicoli sotto Tronjheim. Poi raccontò del braccialetto di crini di cavallo intrecciato con perle di ametista che le guardie avevano trovato su uno dei cadaveri.

«Non penserai di incolpare il mio clan sulla base di prove così insignificanti!» esclamò Vermûnd, scattando in piedi. «Quelle carabattole si possono comprare in quasi tutti i mercatini del regno!»

«È vero» rispose Orik, chinando il capo verso di lui. Poi, con voce neutra e a ritmo sostenuto, procedette con il racconto che aveva già tratteggiato a Eragon la sera prima. Spiegò che i suoi sottoposti a Dalgon gli avevano confermato che gli strani pugnali scintillanti utilizzati dagli assassini erano stati forgiati dal fabbro Kiefna, e avevano scoperto che il nano che aveva acquistato le armi aveva fatto in modo che fossero trasportate da Dalgon in una delle città controllate dall'Az Sweldn rak Anhûin.

Borbottando un'imprecazione a fior di labbra, Vermûnd balzò di nuovo in piedi. «Quei pugnali potrebbero anche non aver mai raggiunto la nostra città, e comunque non puoi trarre le tue conclusioni basandoti solo su questo fatto! Entro quelle mura risiedono knurlan di molti clan, come qui alla Roccaforte di Bregan, per esempio. Non significa niente. Attento a quello che stai per dire, Grimstborith Orik, perché non hai niente a cui aggrapparti per lanciare accuse contro il mio clan.»

«Anch'io ero della tua stessa opinione, Grimstborith Vermûnd» disse Orik. «Così ieri sera, dopo aver chiesto ai miei stregoni di ricostruire a ritroso gli ultimi spostamenti degli assassini fino al punto di partenza, abbiamo catturato tre knurlan nascosti in un polveroso magazzino al dodicesimo livello di Tronjheim. Siamo penetrati nella mente di due di loro e abbiamo scoperto che avevano fornito agli assassini tutto l'equipaggiamento necessario per l'attacco. E infine» continuò, la voce sempre più roca e terribile «abbiamo appreso l'identità del loro padrone. Tu, Grimstborith Vermûnd! Io dichiaro che sei un assassino e uno spergiuro! Ti dichiaro nemico del Dûrgrimst Ingeitum e ti accuso di tradimento davanti alla tua gente, perché siete stati tu e il tuo clan a cercare di uccidere Eragon!»

Tutti i capiclan tranne Orik e Vermûnd presero a gridare, ad agitare le mani e a cercare in ogni modo possibile di monopolizzare la conversazione, e il raduno scivolò nel caos. Eragon si alzò e allentò la fibbia del fodero della spada presa in prestito, sfilandola di mezzo pollice per poter rispondere in fretta se Vermûnd o uno dei suoi nani avessero scelto quel momento per attaccare. Tuttavia Vermûnd non si mosse, e nemmeno Orik; si fissavano come lupi rivali, noncuranti del trambusto intorno a loro.

Alla fine, quando Gannel riuscì a ristabilire l'ordine, disse: «Grimstborith Vermûnd, sei in grado di confutare queste accuse?»

Con voce piatta e priva di emozione, il capoclan rispose: «Le respingo con ogni osso che ho in corpo e sfido chiunque a provarle con il benestare di un esperto nelle nostre leggi.»

Gannel si rivolse a Orik. «Presenta le tue prove, dunque, così che possiamo giudicare se sono valide oppure no. Ci sono cinque esperti qui riuniti oggi, se non mi sbaglio.» Fece un cenno verso la parete, e cinque nani dalla barba bianca si alzarono e si inchinarono. «Garantiranno che nel corso della nostra indagine non oltrepassiamo i confini della legge. Siamo tutti d'accordo?»

«Sì» rispose Ûndin.

«Sì» gli fecero eco Hadfala e gli altri capiclan, tranne Vermûnd.

Per prima cosa, Orik posò il braccialetto di ametista sul tavolo. Ogni capoclan lo fece esaminare dai suoi stregoni, ma convennero tutti che non si trattava di una prova schiacciante.

Poi fece portare da un aiutante uno specchio montato su un treppiede di bronzo. Uno dei maghi del suo seguito pronunciò un incantesimo e sulla superficie lucida dello specchio apparve l'immagine di una stanzetta piena di libri. Trascorse un istante e poi videro entrare di corsa un nano che si inchinò verso i capiclan. Senza fiato, disse di chiamarsi Rimmar, e dopo aver prestato giuramento nell'antica lingua a garanzia della propria onestà raccontò al raduno che lui e i suoi assistenti avevano scoperto cose interessanti sui pugnali degli assassini di Eragon.

Quando i capiclan ebbero finito di interrogare Rimmar, Orik chiese ai suoi guerrieri di portare i tre nani catturati dall'Ingeitum. Gannel ordinò loro di prestare giuramento nell'antica lingua, ma loro lo maledissero, sputarono per terra e si rifiutarono. Poi i maghi di tutti i clan unirono i loro pensieri, invasero le menti dei prigionieri e carpirono loro le informazioni desiderate. Senza eccezioni, confermarono la versione di Orik.


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