Volodyk - Paolini1-Eragon.doc
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Si fermò e lanciò un'imprecazione. Era in cima a Voi Turin, la Scala Infinita. Preoccupato com'era per le condizioni di Saphira, non aveva pensato a come scendere fino alla base di Tronjheim, dove gli Urgali stavano facendo irruzione. Non c'era tempo di usare le scale. Guardò lo stretto canale di scolo che correva al fianco dei gradini, afferrò uno dei cuscinetti di pelle e si gettò. Lo scivolo di pietra era liscio come legno laccato. Con la pelle sotto di sé, accelerò quasi all'istante a una velocità spaventosa, mentre le pareti scorrevano indistinte ai lati e la curva dello scivolo lo premeva contro il muro. Eragon si distese per andare ancora più veloce. L'aria ruggiva intorno all'elmo, facendolo vibrare come un segnavento in una bufera. Lo scivolo era troppo stretto per lui, e più di una volta fu pericolosamente vicino a essere sbalzato fuori, ma se teneva le braccia e le gambe aderenti al corpo, tutto sarebbe filato liscio.
Fu una discesa rapidissima, ma gli ci vollero comunque una decina di minuti per raggiungere il fondo. Il canale terminava bruscamente ed Eragon continuò a scivolare sul pavimento di corniola ancora per diverse iarde.
Quando finalmente si fermò, era troppo stordito per camminare. Al primo tentativo di alzarsi gli venne il voltastomaco, così si accovacciò, la testa tra le mani, e aspettò che il mondo smettesse di vorticare. Quando si sentì meglio, si alzò e si guardò intorno, circospetto.
La grande sala era deserta, il silenzio irreale. Da Isidar Mithrim filtrava la consueta luce rosata, Esitò - dove doveva andare? - poi espanse la mente in cerca dei Gemelli. Niente. S'impietrì nel sentire un forte rimbombo risuonare per tutta Tronjheim.
Un'esplosione squarciò l'aria. Una lunga lastra del pavimento si deformò e saltò in aria, per oltre trenta piedi. Taglienti schegge di pietra si sparsero ovunque quando la lastra ricadde con uno schianto. Eragon incespicò all'indietro, sgomento, cercando a tentoni l'impugnatura di Zar'roc. Le figure mostruose degli Urgali presero a salire dalla voragine nel pavimento.
Eragon esitò. Doveva fuggire? O restare e chiudere il tunnel? Se anche fosse riuscito a sigillarlo prima che gli Urgali lo attaccassero, probabilmente stavano aprendo altre brecce nel suolo di Tronjheim. Non poteva trovarsi in tutti i posti a un tempo per impedire alla città-montagna di cadere nelle grinfie del nemico. Ma se corro a uno dei cancelli di Tronjheim e lo faccio saltare, i Varden potranno riprendere . Tronjheim senza bisogno di un assedio. Prima che potesse decidere, un soldato alto, con un'armatura completamente nera, emerse dal tunnel e lo guardò dritto negli occhi. Era Durza.
Lo Spettro impugnava la pallida spada graffiata da Ajihad. Al braccio portava uno scudo nero.e rotondo, con un'insegna cremisi. Il suo elmo nero recava ricchi decori, come quello di un generale, e intorno gli svolazzava un lungo manto di pelle di serpente. La follia ardeva nei suoi occhi rossicci, la follia di colui che detiene il potere e si trova nella posizione di usarlo.
Eragon sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza veloce o forte da sfuggire al nemico che aveva di fronte. Avvertì subito Saphira, pur sapendo che era impossibile per lei venire a salvarlo. Tese i muscoli in posizione di guardia e ripassò quanto gli aveva insegnato Brom sul fatto di affrontare un avversario capace di usare la magia. Non era incoraggiante. E Ajihad aveva detto che gli Spettri si potevano uccidere soltanto con un colpo al cuore.
Durza lo guardò con disprezzo e disse: «Kaz jtierl traz-hid! Otrag bagh.» Gli Urgali studiarono Eragon sospettosi e formarono un cerchio intorno al perimetro della sala. Durza si avvicinò lentamente a Eragon, con un'espressione di trionfo. «E così, mio giovane Cavaliere, ci incontriamo ancora. Sei stato sciocco a sfuggirmi, a Gil'ead. Alla fine, non è servito ad altro che a peggiorare le cose.»
«Non mi prenderai mai vivo» ringhiò Eragon.
«Tu credi?» disse lo Spettro, irridente. La luce dello zaffiro stellato conferiva alla sua pelle un colore ancor più cinereo. «Non vedo il tuo amico Murtagh ad aiutarti. Non può fermarmi, ora. Nessuno può!»
Eragon si sentì pervadere dal terrore. Come fa a sapere di Murtagh? Sforzandosi di assumere un tono beffardo, esclamò: «Come ci si sente a essere trapassati da una freccia?»
Il volto di Durza s'irrigidì per un istante. «Sarò ripagato col sangue per quanto mi è stato fatto. Ora dimmi dove si nasconde il tuo drago.»
«Mai.»
Il contegno dello Spettro vacillò. «Allora ti costringerò a dirmelo!» La, sua spada sibilò nell'aria. Nel momento in cui Eragon parava il colpo con lo scudo, un maglio gli penetrò nel cervello. Lottando per proteggere la sua coscienza, respinse Durza e attaccò con la propria mente. Eragon aggredì con tutte le sue forze le strenue difese erette intorno alla mente di Durza: invano. Fece roteare Zàr'roc, cercando di prendere Durza alla sprovvista. Lo Spettro parò il fendente senza sforzo, poi fece un affondo con uno scatto fulmineo.
La punta della spada colse Eragon fra le costole, forandogli la cotta di maglia e mozzandogli il fiato. La maglia però scivolò e la lama gli mancò il fianco per un soffio. Un attimo di distrazione era quello che occorreva a Durza per entrare nella mente di Eragon e assumerne il controllo. «No!» gridò Eragon, scagliandosi contro lo Spettro. Afferrò Durza, cercando di bloccargli il braccio che teneva la spada. Durza tentò di tagliargli la mano, ma era protetta dal guanto di maglia, che fece scivolare la lama. Mentre Eragon gli sferrava un calcio su uno stinco. Durza ringhiò e lo colpì da dietro con lo scudo nero, mandandolo a terra. Eragon sentì il sapore del sangue in bocca; il collo gli pulsava. Ignorando le ferite, rotolò su un fianco e scagliò il proprio scudo contro Durza. Malgrado la superiore rapidità dello Spettro, lo scudo pesante lo colpì al fianco. Mentre Durza vacillava, Eragon lo ferì al braccio con Zar'roc. Un rivolo di sangue colò lungo il braccio dello Spettro. Eragon respinse lo Spettro con la mente e penetrò nelle sue difese indebolite. Un fiume di immagini lo avvolse all'improvviso, scorrendogli nella coscienza...
Durza da ragazzo che viveva come un nomade con i suoi genitori nelle vaste pianure. La tribù li aveva abbandonati, chiamando suo padre spergiuro. Ma non era Durza all'epoca, era Carsaib... il nome che sua madre ripeteva pettinandogli i capelli...
Lo Spettro si voltò su se stesso, il viso ridotto a una maschera di dolore. Eragon tentò di controllare il torrente di ricordi, ma la loro forza era soverchiante.
In piedi su una collina, davanti alla tomba dei suoi genitori, pianse perché non avevano ucciso anche lui. Poi si voltò e si allontanò barcollando, verso il deserto...
Durza affrontò Eragon. Un terribile odio emanava dai suoi occhi rossi. Eragon era su un ginocchio, quasi in piedi, e lottava per sigillare la mente.
Gli apparve il vecchio, chino su Carsaib moribondo su una duna di sabbia. I giorni che ci erano voluti a Carsaib per riprendersi e la paura che lo aveva colto quando aveva scoperto che il suo salvatore era uno stregone. Come lo aveva implorato di insegnargli il controllo degli spiriti. Come alla fine Haeg aveva acconsentito. Lo chiamava "Ratto del Deserto"...
Eragon era in piedi. Durza caricò, la spada levata, dimenticando lo scudo nella sua furia.
I giorni trascorsi ad allenarsi sotto il sole cocente, sempre all'erta, in cerca delle lucertole che catturavano per cibarsi. Come il suo potere cresceva lentamente, dandogli orgoglio e fiducia. Le settimane trascorse a curare il maestro, ammalato dopo un incantesimo fallito. La gioia di quando Haeg si era ripreso...
Non c'era tempo per reagire... non c'era tempo...
I banditi che avevano attaccato durante la notte, uccidendo Haeg. La rabbia che Carsaib aveva provato e gli spiriti che aveva evocato per vendicarsi. Ma gli spiriti erano più forti di quanto avesse previsto. Lo tradirono e si impossessarono del suo corpo e della sua mente. Aveva gridato. Era... IO SONO DURZA!
La spada si abbattè con violenza sulla schiena di Eragon, lacerando metallo e carne. Il ragazzo urlò di dolore e cadde di nuovo in ginocchio. La sofferenza lo faceva stare piegato in due e sopprimeva ogni pensiero. Vacillò, appena cosciente del sangue che gli scorreva, copioso sulle reni. Durza disse qualcosa che non riuscì a capire.
Col cuore gonfio di angoscia, Eragon alzò gli occhi al cielo, il volto rigato di lacrime. Era finita, l Varden e i nani distrutti. Lui era stato sconfitto. Saphira si sarebbe immolata per salvarlo - lo aveva già fatto - e Arya sarebbe stata catturata di nuovo o uccisa. Perché doveva finire così? Che giustizia era? Tutto per niente.
Mentre guardava Isidar Mithrim scintillare sopra il suo corpo martoriato, un lampo di luce esplose nei suoi occhi, accecandolo. Un istante dopo, la sala risuonò di un rumore assordante. Poi i suoi occhi si schiarirono, e rimase a bocca aperta per lo stupore.
Lo zaffiro stellato era infranto. Un enorme ventaglio di frammenti acuminati pioveva verso il lontano pavimento, i muri trafitti da mille schegge. Al centro della sala, intenta a calare in picchiata, c'era Saphira. Dalle sue fauci spalancate eruttò una vampa di fuoco gialla e azzurra. Sul suo dorso cavalcava Arya: i capelli al vento, le mani alzate, i palmi scintillanti di magica luce verde. Il tempo parve rallentare mentre Eragon vide Durza alzare la testa verso il soffitto. Prima la sorpresa, poi la rabbia deformò i lineamenti dello Spettro. Con un ringhio sprezzante, alzò la mano e la puntò contro Saphira, le labbra pronte a mormorare una parola.
Un'insospettabile riserva di energia divampò dentro Eragon, richiamata dai più profondi recessi del suo essere. Le sue dita si strinsero intorno all'elsa di Zar'roc. Sfondò la barriera della mente e prese controllo della magia. Tutto il suo dolore e.la sua rabbia si concentrarono in un'unica parola: «Brisingr!»
Zar'roc fiammeggiò di luce rossa, la lama percorsa da una vampa senza calore…
Si scagliò in avanti…
E colpì Durza dritto al cuore.
Durza, esterrefatto, abbassò lo sguardo sulla lama che gli sporgeva dal petto. La sua bocca era aperta, ma invece di parole ne sgorgò un ululato terrificante. La spada cadde dalle dita prive di forza. Afferrò Zar'roc come volesse strapparsela dalla carne, ma la lama era conficcata in profondità.
Poi la pelle di Durza divenne trasparente: sotto di essa non c'erano carne né ossa, ma un turbinio notturno. Gridò ancora più forte mentre le tenebre pulsavano, spaccandogli la pelle. Con un ultimo grido. Durza si lacerò dalla testa ai piedi, liberando le tenebre che si divisero in tre rivoli, pronti a fuggire attraverso le mura di Tronjheim, fuori dal Farthen Dùr. Lo Spettro era morto. All'improvviso svuotato di ogni energia, Eragon cadde riverso, con le braccia spalancate. Sopra di lui, Saphira e Arya avevano quasi raggiunto terra, sembrava che stessero per schiantarsi al suolo insieme ai resti di Isidar Mithrim. Mentre la sua vista si annebbiava, Saphira. Arya e la miriade di frammenti, tutto parve fermarsi e restare immobile, a mezz'aria.
IL SAGGIO DOLENTE
F
rammenti di ricordi dello Spettro continuavano a vorticare nella mente di Eragon, un delirio di eventi oscuri ed emozioni travolgenti che gli impediva di pensare. In balìa del turbine, non sapeva chi era né dove si trovava, Era troppo debole per liberarsi dalla presenza estranea che
gli offuscava la mente. Immagini violente, crudeli, del passato dello Spettro gli esplosero dietro gli occhi finché il suo spirito non gridò di dolore a quelle visioni sanguinose.
Una pila di cadaveri davanti a lui... innocenti uccisi per ordine dello Spettro. Vide altri corpi interi villaggi strappati alla vita per mano o per bocca del demone. Non c'era scampo alla carneficina che lo circondava. Vacillò come la fiamma di una candela, incapace di resistere alla marea del Male. Pregò perché qualcuno lo liberasse da quell 'incubo, ma non c'era nessuno a guidarlo. Se solo avesse ricordato che cos'era: un ragazzo o un uomo, un cattivo o un eroe, uno Spettro o un Cavaliere. Tutto era confuso in una frenesia priva di significato. Era perduto per sempre in quel viluppo tumultuoso.
All'improvviso, una massa di ricordi, suoi ricordi, si aprì un varco nella nube lugubre lasciata dalla mente malvagia dello Spettro. Tutti gli eventi da quando aveva trovato l'uovo di Saphira gli apparvero nella fredda luce della rivelazione: i successi e i fallimenti; le persone e le cose care che aveva perso e i doni lucenti del fato generoso. Per la prima volta fu orgoglioso di essere soltanto chi era. Come per ribellarsi al nuovo barlume di fiducia in se stesso, le tenebre soffocanti dello Spettro lo assalirono di nuovo. La sua identità sì perse nel vuoto mentre l'incertezza e la paura gli consumavano le percezioni. Chi era, per pensare di poter sfidare i poteri di Alagasëia e restare vivo?
Lottò contro i pensieri sinistri dello Spettro, debolmente, al principio, poi sempre più forte. Mormorò parole nell'antica lingua e scoprì che gli davano la forza di resistere alle ombre che gli affollavano la mente. Le sue difese ancora vacillavano, ma cominciò lentamente a raccogliere i frammenti della sua coscienza per formare un guscio luminoso intorno al nucleo. Fuori dalla sua mente era consapevole di un dolore così forte da minacciare di togliergli la vita, ma qualcosa, o qualcuno, sembrava tenerlo a bada.
Era ancora troppo débole per schiarirsi del tutto la mente, ma era abbastanza lucido da passare in rassegna le sue esperienze fin da Carvahall. Dove sarebbe andato adesso... e chi gli avrebbe mostrato la via? Senza Brom, non c'era nessuno a guidarlo o a fargli da maestro. Vieni da me.
Si ritrasse al contatto di un'altra coscienza, così vasta e potente da parere una montagna torreggiantè su di lui. Era colui che bloccava il dolore, si rese conto. Come nella mente di Arya, anche in questo scorreva una musica: corde d'ambra che vibravano di una magistrale malinconia. Finalmente osò chiedere: Chi sei?
Uno che può aiutarti. Con un bagliore di pensiero non espresso, l'influenza dello Spettro venne spazzata via come una ragnatela fastidiosa. Libero dal peso opprimente, Eragon lasciò che la sua mente si espandesse fino a toccare una barriera oltre la quale non gli era permesso di andare. Ti ho protetto come meglio ho potuto, ma sei così lontano che non ho potuto far altro che schermarti dal dolore.
Di nuovo: Chi sei, tu che fai questo?
Un cupo brontolio. Sono Osthato Chetòwa, il Saggio Dolente. E Togiro Ikonoka, lo Storpio Che è Sano. Vieni da me, Eragon, poiché io ho le risposte che cerchi. Non sarai al sicuro finché non mi troverai.
Ma come faccio a trovarti se non so dove sei? domandò Eragon, disperato.
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