Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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Eragon obbedì, poi indietreggiò insieme a Saphira. La folla balzò in piedi fra grida di esultanza; i nani pestavano gli stivali chiodati al ritmo dei guerrieri umani che battevano le spade sugli scudi.
Voltandosi sul podio, Nasuada afferrò la balaustra con le mani e guardò la folla dell'anfiteatro. Il suo volto irradiava gioia pura. «Popolo dei Varden!»
Silenzio.
«Come mio padre prima di me, darò la mia vita per voi e per la nostra causa. Non smetterò mai di combattere finché gli Urgali non saranno annientati, Galbatorix morto, e Alagaèsia ancora una volta libera!»
Un boato di applausi e grida.
«Perciò vi dico che è tempo di prepararci. Qui nel Farthen Dùr, dopo infinite schermaglie, abbiamo ottenuto la nostra più grande vittoria. È il nostro turno di reagire. Galbatorix è debole per aver perso così tante forze, e non ci sarà mai più un'occasione simile.
«Perciò, vi ripeto, è tempo di prepararci, affinchè la vittoria finale ci arrida!»
Dopo altri discorsi di svariati personaggi - fra cui un Falberd ancora schiumante di collera - l'anfiteatro cominciò a svuotarsi. Mentre Eragon si alzava per andarsene, Orik lo afferrò per un braccio e lo fermò. Il nano aveva gli occhi sgranati. «Eragon, avevi già deciso tutto?»
Eragon riflettè brevemente sull'opportunità di dirglielo, poi annuì. «Sì.»
Orik si lasciò sfuggire un lungo sospiro, scuotendo la testa. «È stata una mossa molto scaltra, direi. Hai dato a Nasuada una posizione molto forte per cominciare. Ma anche pericolosa, a giudicare dalle reazioni del Consiglio degli Anziani. Arya sapeva?»
«Ha convenuto che era necessario.»
Il nano lo studiò meditabondo. «Ne sono convinto. Ma hai appena alterato l'equilibrio dei poteri, Eragon. Nessuno oserà più sottovalutarti... Attento alla roccia che frana. Ti sei fatto dei nemici potenti, quest'oggi.» Batte il palmo sulla schiena del giovane e si allontanò.
Saphira lo osservò andar via, poi disse: Dobbiamo prepararci a lasciare il Farthen Dùr. Il Consiglio sarà assetato di vendetta. Prima ci troveremo lontani dalla loro portata, meglio sarà.
La maga, il serpente e la pergamena
Quella sera, quando tornò ai suoi alloggi dopo essersi lavato, Eragon rimase sorpreso nel trovare una donna alta che lo aspettava nel corridòio. Aveva i capelli scuri, gli occhi azzurri e le labbra atteggiate a un sorriso sardonico. Al polso portava un bracciale d'oro a forma di serpente sibilante. Eragon sperò che non fosse venuta a chiedergli consiglio, come facevano molti Varden.
«Argetlam» disse lei, con una graziosa riverenza.
Lui ricambiò con un cenno del capo. «Posso aiutarti?»
«Lo spero. Sono Trianna, maga del Du Vrangr Gata.»
«Davvero? Una maga?» disse lui, incuriosito.
«E strega di guerra, e spia, e qualunque altra cosa i Varden ritengano necessario. Non ci sono molti esperti di arti magiche, perciò ciascuno di noi assume una mezza dozzina di compiti.» La donna sorrise, mostrando una chiostra perfetta di denti bianchissimi. «Ecco perché sono venuta. Saremmo onorati se volessi assumere la guida del nostro gruppo, il Du Vrangr Gata. Tu sei l'unico che può sostituire i Gemelli.»
Senza quasi rendersene conto, Eragon ricambiò il sorriso. La donna era così amichevole e seducente che odiava dover dire di no. «Temo di non potere; Saphira e io lasceremo presto Tronjheim. Inoltre, sarebbe comunque mio dovere consultarmi prima con Nasuada.» E non voglio restare invischiato in altri intrighi politici... specie in quelli che un tempo ordivano i Gemelli.
Trianna si morse il labbro. «Mi dispiace sentirtelo dire.»
Si avvicinò di un passo. «Magari potremmo trascorrere del tempo insieme, prima della tua partenza. Potrei mostrarti come evocare e controllare gli spiriti... Sarebbe istruttivo per entrambi.»
Eragon si sentì avvampare le guance. «Apprezzo l'offerta, ma sono davvero molto occupato al momento.» Una scintilla d'ira balenò negli occhi di Trianna, poi svanì altrettanto rapida, tanto che Eragon si chiese se l'avesse effettivamente vista. La donna sospirò con grazia. «Capisco.»
Suonava così delusa - e aveva un'aria così afflitta - che Eragon si sentì in colpa per averla respinta. Che male può fare se le parlo per qualche minuto? si disse. «Sono curioso. Come hai appreso la magia?»
Trianna s'illuminò. «Mia madre era una guaritrice del Surda. Aveva qualche potere e m'istruì nelle antiche arti. Ovviamente non sono potente quanto un Cavaliere. Nessun membro del Du Vrangr Gata avrebbe potuto sconfiggere Durza da solo, come hai fatto tu. È stata un'impresa eroica.»
Imbarazzato, Eragon strisciò gli stivali sul pavimento. «Non sarei sopravvissuto se non fosse stato per Arya.» «Sei troppo modesto, Argetlam» lo adulò lei. «Sei stato tu a infliggere il colpo di grazia. Dovresti essere fiero di ciò che hai fatto. È stato un gesto degno dello stesso Vrael.» La maga si protese verso di lui. Il cuore di Eragon accelerò nel sentire il suo profumo, intenso e muschiato, con una nota di spezie esotiche. «Hai sentito le canzoni composte per te? I Varden le cantano ogni notte intorno ai fuochi. Dicono che sei venuto a strappare il trono a Galbatorix!» «No» ribattè aspro Eragon. Quella era una diceria che non poteva tollerare. «Loro possono dirlo, ma non è ciò che voglio. Qualunque sia il mio destino, non aspiro a governare.»
«Ed è saggio da parte tua. In fin dei conti, che cos'è un re se non un uomo imprigionato dai propri dovéri? Sarebbe invero una ben misera ricompensa per l'ultimo Cavaliere libero e il suo drago. No, a te spetta la facoltà di andare e compiere ciò che desideri e, per esteso, di forgiare il futuro di Alagaésia.» La donna fece una pausa. «Hai una famiglia nei territori dell'Impero?»
Cosa? «Soltanto un cugino.»
«Dunque non sei fidanzato?»
La domanda lo colse di sorpresa. Non gli avevano mai chiesto nulla di simile. «No, non sono fidanzato.» «Ma di certo dev'esserci qualcuno a cui tieni particolarmente.» La maga fece un altro passo avanti, e la sua manica dai lunghi nastri fluttuanti gli sfiorò il braccio.
«Non c'era nessuno a cui mi sentissi legato a Carvahall» balbettò lui, «e da allora ho sempre viaggiato.» Trianna indietreggiò appena, poi levò il polso in modo da portare il bracciale a forma di serpente all'altezza degli occhi. «Ti piace?» domandò. Eragon battè le palpebre e annuì, anche se il monile era piuttosto inquietante. «Lo chiamo Lorga. È mio amico e mi protegge.» La seduttrice avvicinò il volto al bracciale e vi soffiò sopra, mormorando: «Sé orùm thornessa hàvr sharjalvi lìfs.»
Con un fruscìo secco, il serpente prese vita. Eragon lo contemplò affascinato, mentre la creatura avvolgeva le sue spire intorno al pallido braccio di Trianna, poi levò la testa e fissò gli ipnotici occhi di rubino su di lui, con la lingua biforcuta che guizzava dentro e fuori. I suoi occhi parvero espandersi fino a diventare grandi quanto il pugno di Eragon. Il giovane provò la sensazione di precipitare nei loro sconfinati abissi; non riusciva a distogliere lo sguardo, per quanto si sforzasse.
Poi, a un brusco comando, il serpente s'irrigidì e riprese la sua forma originale. Con un sospiro esausto, Trianna si appoggiò alla parete. «Non sono in molti a capire quello che facciamo noi stregoni. Ma desidero che tu sappia che ci sono altri come te, e che faremo il possibile per aiutarti.»
D'impulso, Eragon le prese una mano. Non aveva mai tentato un simile approccio con una donna prima, ma l'istinto gli suggeriva di osare, di cogliere l'occasione. Era spaventoso e inebriante. «Se ti va, possiamo andare a mangiare qualcosa insieme. C'è una cucina non molto distante da qui.»
Lei posò l'altra mano su quelle di lui, le dita lisce e fresche, così diverse dalle ruvide strette a cui era abituato. «Volentieri. Potremmo...» Trianna trasalì quando la porta alle sue spalle si spalancò di colpo. La maga si volse e lanciò un grido nel trovarsi faccia a faccia con Saphira.
La dragonessa rimase immobile; si limitò ad arricciare un labbro che rivelò una minacciosa fila di zanne affilate. Poi ringhiò. Fu un ringhio prodigioso, carico di disprezzo e riprovazione, che echeggiò nel corridòio per oltre un minuto. Ascoltarlo fu come sopportare un'interminabile e umiliante predica.
Eragon la fissò truce.
Quando cessò, Trianna si stringeva la veste con entrambi i pugni, torcendo il tessuto. Il suo volto era sbiancato dalla paura. Rivolse una frettolosa riverenza a Saphira, poi, con malcelata ansia, si volse e si dileguò. Come se niente fosse, Saphira sollevò una zampa e si leccò gli artigli. Non riuscivo ad aprire la porta, disse.
Eragon non riuscì più a trattenersi. Perché l'hai fatto? esplose. Non avevi ragione d'interferirei
Ti serviva il mio aiuto, ribattè lei, imperturbabile.
Se mi serviva il tuo aiuto, ti avrei chiamata!
Non rivolgerti a me con quel tono, sbottò lei, facendo schioccare le fauci. Eragon percepì in lei lo stesso groviglio di emozioni che sconvolgeva lui. Non ti permetterò di perdere tempo con una sgualdrina che si interessa più a Eragon come Cavaliere che non come persona.
Non è una sgualdrina, ruggì lui, sferrando un pugno alla parete per la frustrazione. Sono un uomo, adesso, Saphira, non un eremita. Non puoi pretendere che ignori... ignori le donne solo perché io sono quello che sono. E di sicuro non spetta a te decidere. Almeno avrei potuto godere di una piacevole conversazione con lei, una piccola distrazione fra tutte le tragedie che abbiamo affrontato di recente. Tu sei dentro di me abbastanza da sapere cosa provo. Perché non mi hai lasciato stare? Che male c'era?
Non capisci. La dragonessa si rifiutava di incontrare il suo sguardo.
Non capisco! Vorresti forse impedirmi di avere una moglie e dei figli, un giorno? Una famiglia?
Eragon. Finalmente Saphira posò un grande occhio su di lui. Noi siamo legati intimamente.
Ovvio!
E se tu intrecci una relazione, con o senza la mia benedizione, e ti... affezioni... a qualcuno, coinvolgerai anche i miei sentimenti. Dovresti saperlo. Perciò - e ti avverto solo questa volta - stai attento a chi scegli, perché entrambi ne subiremo le conseguenze.
Eragon riflettè qualche istante sulle sue parole. Il nostro legame funziona in entrambi i sensi, ricorda. Se tu odi qualcuno, anch'io ne resterò influenzato... ma comprendo la tua preoccupazione. Quindi, non eri soltanto gelosa? Saphira si leccò ancora gli artigli. Forse, un pochino.
Fu Eragon a ringhiare, questa volta. La superò imbronciato ed entrò nella stanza, prese Zar'roc e uscì di nuovo a grandi passi, allacciandosi la spada alla cintura.
Vagò per Tronjheim per ore, evitando chiunque. Quello che era successo lo addolorava, anche se non poteva negare la verità delle parole di Saphira. Di tutte le questioni che condividevano, era la più delicata, quella su cui andavano meno d'accordo. Quella notte - per la prima volta da quando era stato catturato a Gil'ead - dormì lontano da Saphira, in uno dei quartieri destinati ai nani.
Eragon tornò al proprio alloggio la mattina seguente. Per un tacito accordo, lui e Saphira evitarono di discutere su quanto era accaduto; litigare ancora era inutile quando nessuno dei due era disposto a cedere. Per giunta, provarono un tale sollievo nel riunirsi che non vollero rischiare di mettere in pericolo la loro amicizia.
Stavano mangiando - Saphira strappava brani di carne da un cosciotto sanguinolento - quando arrivò Jarsha. Come sempre, rimase impalato a fissare Saphira, seguendone i movimenti mentre rosicchiava i resti di un femore. «Sì?» disse Eragon, asciugandosi il mento e chiedendosi se era il Consiglio degli Anziani che lo mandava a chiamare. Non aveva più avuto notizie dal funerale.
Jarsha distolse lo sguardo da Saphira giusto il tempo di dire: «Nasuada desidera vederti, mio signore. Ti aspetta nello studio di suo padre.»
Signore! Eragon trattenne una risata. Soltanto qualche tempo prima, era lui a chiamare signore gli altri, e non viceversa. Rivolse un'occhiata a Saphira. «Hai finito, o dobbiamo aspettare ancora?»
Roteando gli occhi, la dragonessa inghiottì la carne e spezzò l'osso con uno schianto secco. Ho finito. «D'accordo» disse Eragon, alzandosi. «Puoi lasciarci, Jarsha, conosciamo la strada.»
Impiegarono quasi mezz'ora per raggiungere lo studio, data la vastità della città-montagna. Come durante il governo di Ajihad, la soglia era presidiata, ma invece di due soli uomini, un'intera brigata di guerrieri armati di tutto punto sorvegliavano la porta, pronti a intervenire al minimo segnale di pericolo e disposti a sacrificare la propria vita per proteggere il loro nuovo capo da agguati o aggressioni.
Pur avendoli chiaramente riconosciuti, le sentinelle sbarrarono il passo a Eragon e Saphira, mentre Nasuada veniva avvertita della loro visita. Soltanto dopo fu concesso loro di entrare.
Eragon si accorse subito di un cambiamento nello studio: un vaso di fiori. I piccoli boccioli purpurei erano discreti, ma spandevano una tiepida fragranza che a Eragon evocava estati profumate di lamponi appena colti e campi di grano falciato che imbiondivano al sole. Inspirò a fondo, apprezzando l'abilità di Nasuada nell'affermare la propria personalità senza offuscare il ricordo di Ajihad.
La giovane era seduta alla grande scrivania, ancora vestita a lutto. Mentre Eragon si accomodava, e Saphira prendeva posto al suo fianco, lei disse: «Eragon.» Una semplice constatazione, né amichevole né ostile. Distolse brevemente lo sguardo, poi si concentrò su Eragon, gli occhi fieri e risoluti. «Ho trascorso gli ultimi giorni a esaminare gli affari dei Varden. Un'attività sconfortante. Siamo poveri, divisi e a corto di risorse; per giunta, sono pochi i rinforzi che giungono a noi dall'Impero. Ho intenzione di cambiare la situazione.
«I nani non possono continuare a mantenerci ancora a lungo; è stata una brutta annata per i raccolti, e loro hanno subito molte perdite. Tutto considerato, ho deciso di spostare i Varden nel Surda. È un progetto ambizioso, lo so, ma lo ritengo necessario per la nostra sicurezza. Una volta nel Surda, finalmente saremo abbastanza vicini da sferrare un attacco diretto all'Impero.»
Perfino Saphira ebbe un sussulto di sorpresa. Un'impresa immane! commentò Eragon. Ci vorranno mesi per spostare i beni di ogni Varden nel Surda, per non parlare della popolazione. E con ogni probabilità verranno attaccati durante il cammino. «Credevo che re Orrin non osasse sfidare apertamente Galbatorix» obiettò.
Nasuada sorrise. «La sua posizione è cambiata da quando abbiamo sconfitto gli Urgali. Ci offrirà asilo e rifornimenti, e combatterà al nostro fianco. Molti Varden sono già nel Surda, soprattutto donne e bambini che non potevano o non volevano combattere. Anche loro ci sosterranno, altrimenti li rinnegherò.»
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