Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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Lui fece schioccare le dita. «Ma certo.» Intinse il lungo tubo di vetro nel crogiolo, lo riempì di mercurio, poi tappò con un dito l'estremità aperta e le mostrò il tubo. «Convieni che qui dentro c'è soltanto mercurio?»
«Convengo.» È per questo che mi ha mandata a chiamare?
«E adesso?» Con un rapido movimento, capovolse il tubo e infilò l'estremità aperta nel crogiolo, togliendo il dito. Invece di uscire tutto, come Nasuada si aspettava, il mercurio nel tubo calò fino alla metà, poi si fermò. Orrin indicò la sezione vuota sul metallo sospeso, e le chiese: «Cosa occupa questo spazio?»
«Dev'essere aria» dichiarò Nasuada.
Orrin sogghignò e scrollò il capo. «Se fosse così, come ha fatto l'aria a sorpassare il metallo liquido o a diffondersi nel vetro? Non ci sono vie possibili per cui l'atmosfera possa essere entrata.» Fece un cenno a Farica. «Qual è la tua opinione, ancella?»
Farica esaminò il tubo, poi si strinse nelle spalle e disse: «Non c'è niente, sire.»
«Ah, ma è esattamente quel che penso io: niente. Credo di aver risolto uno dei più antichi enigmi della filosofia naturale creando e dimostrando l'esistenza del vuoto! Questo invalida completamente le teorie di Vacher e significa che Làdin era un genio. Quei dannati elfi hanno sempre ragione.»
Nasuada si sforzò di mantenere un tono cortese nel chiedere: «Qual è il suo scopo?»
«Scopo?» Orrin la guardò con sincero stupore. «Nessuno, naturalmente. Almeno non uno che mi venga in mente. Tuttavia, questo ci aiuterà a comprendere la meccanica del nostro mondo, come e perché le cose accadono. È una scoperta meravigliosa. Chissà a cosa potrà condurci.» Mentre parlava, svuotò il tubo e lo depose con cura in un astuccio foderato di velluto che conteneva altri strumenti ugualmente delicati. «La prospettiva che mi eccita di più, devo ammettere, è quella di usare la magia per scoprire i segreti della natura. Sai, giusto ieri, con un solo incantesimo, Trianna mi ha aiutato a scoprire due nuovi gas. Immagina che cosa potremmo imparare se la magia venisse sistematicamente applicata alle discipline della filosofia naturale. Sto pensando di imparare io stesso la magia, ammesso che ne abbia il talento, e se riuscirò a convincere qualche stregone a divulgare le sue conoscenze. E un peccato che il tuo Cavaliere dei Draghi, Eragon, non ti abbia accompagnata qui; sono sicuro che avrebbe potuto aiutarmi.» Rivolgendosi a Farica, Nasuada disse: «Aspettami fuori.» La donna s'inchinò e uscì. Quando Nasuada sentì chiudersi la porta del laboratorio, esclamò: «Orrin, ti è andato di volta il cervello?»
«Che vuoi dire?»
«Mentre passi il tuo tempo rinchiuso qui dentro a condurre esperimenti che nessuno capisce, mettendo in pericolo la tua stessa salute, il tuo paese vacilla sull'orlo di una guerra. Una moltitudine di problemi aspetta una tua decisione, e tu te ne stai qui a soffiare fumo dalle orecchie e a giocare col mercurio?»
Il volto del sovrano s'indurì. «Sono più che consapevole dei miei dovéri, Nasuada. Tu sarai anche il capo dei Varden, ma io resto il re del Surda, e dovresti ricordartene prima di rivolgerti a me in modo così irriguardoso. Occorre forse rammentarti che la vostra permanenza qui dipende dalla mia benevolenza?»
Nasuada sapeva che si trattava di una minaccia futile: molti surdani avevano parenti fra i Varden, e viceversa. Erano troppo intimamente legati per abbandonarsi a vicenda. No, la vera ragione per cui Orrin si era offeso era la questione dell'autorità. Dato che era quasi impossibile mantenere cospicue truppe armate, pronte a combattere, per prolungati periodi di tempo - come Nasuada aveva imparato, sfamare tante bocche inattive era un incubo logistico - i Varden avevano cominciato a svolgere dei lavori, a impiantare fattorie e a integrarsi nel paese ospitante. Dove mi porterà tutto questo alla fine? Diventerò il capo di un esercito fantasma? Un generale o un consigliere sotto il governo di Orrin? La posizione di Nasuada era precaria. Se si fosse mossa troppo in fretta o avesse dimostrato troppa iniziativa, Orrin l'avrebbe potuta prendere come una minaccia e voltarle le spalle, specie ora che lei poteva vantare la gloriosa vittoria dei Varden nel Farthen Dùr. Ma se avesse indugiato troppo, avrebbero perso l'occasione di sfruttare la momentanea debolezza di Galbatorix. Il suo unico vantaggio in quel ginepraio era l'autorità che deteneva sull'unico elemento che aveva generato quell'atto del dramma: Eragon e Saphira.
Disse: «Non ho alcuna intenzione di minare la tua autorità, Orrin. Non ho mai voluto una cosa del genere, e ti chiedo scusa se il mio comportamento ti ha indotto a crederlo.» Lui chinò il capo con il collo rigido. Non sapendo bene come continuare, Nasuada appoggiò le dita sull'orlo del bancone. «È solo che... ci sono così tante cose da fare. Io lavoro giorno e notte, tengo una lavagnetta accanto al letto per scrivere appunti, e ancora non riesco a sbrogliare la matassa. Ho sempre la sensazione di essere in bilico sull'orlo del disastro.»
Orrin prese un pestello macchiato di nero e se lo fece rotolare fra i palmi a un ritmo costante e ipnotico. «Prima che tu venissi... no, non è corretto. Prima che il tuo Cavaliere si materializzasse dall'etere come Moratensis dalla fontana, mi aspettavo di vivere la mia vita come mio padre e mio nonno prima di me. Ossia opponendomi a Galbatorix in segreto. Devi capire che mi occorre del tempo per abituarmi a questa nuova realtà.»
Era quanto di più vicino a un atto di contrizione lei si potesse aspettare. «Capisco.»
Lui smise di rigirare il pestello per un momento. «Hai da poco preso il potere, mentre io conservo il mio da un certo numero di anni. Se posso permettermi di darti un consiglio, ho scoperto che è essenziale per la mia sanità mentale dedicare una certa frazione del giorno ai miei interessi personali.»
«Io non potrei mai farlo» obiettò Nasuada. «Ogni momento perso potrebbe essere il momento dello sforzo necessario a sconfiggere Galbatorix.»
Il pestello si fermò di nuovo. «Non fai che danneggiare i Varden se insisti a spremerti in questo modo. Nessuno può agire con lucidità senza un momento di pace e tranquillità. Non devono essere lunghi intervalli, bastano cinque o dieci minuti. Potresti allenarti con l'arco e continuare a perseguire i tuoi obiettivi, anche se in maniera diversa... Ecco perché ho allestito questo laboratorio. Perché quando soffio fumo dalle orecchie o gioco col mercurio, come dici tu, almeno non urlo di rabbia e delusione per il resto della giornata.»
Malgrado fosse ancora restìa a modificare la sua opinione di Orrin come un irresponsabile perdigiorno, Nasuada non potè fare a meno di riconoscere il valore delle sue argomentazioni. «Terrò a mente il tuo consiglio.» Quando Orrin sorrise, riaffiorò qualcosa della sua precedente bonarietà. «È tutto quello che ti chiedo.» Avvicinatasi alla finestra, Nasuada aprì le persiane e lasciò vagare lo sguardo su Aberon, con le grida dei suoi mercanti dalla lingua sciolta che imbonivano ingenui compratori, le nuvole di polvere gialla sollevate sulla via dalle carovane che si avvicinavano alle porte ovest della città, l'aria che tremolava di calura sulle tegole d'argilla dei tetti e portava l'odore dei cardi e dell'incenso dai templi di marmo, e i campi che circondavano Aberon come petali di un fiore. Senza voltarsi, Nasuada chiese: «Hai ricevuto le copie dei nostri ultimi rapporti dall'Impero?»
«Sì.» Orrin si avvicinò a lei davanti alla finestra.
«Qual è la tua opinione?»
«Sono troppo scarni e incompleti per trarre una qualsiasi conclusione.»
«Ma sono il meglio a nostra disposizione, al momento. Parlami dei tuoi sospetti e delle tue impressioni. Deduci dai fatti come faresti se fosse uno dei tuoi esperimenti.» Sorrise. «Ti prometto che non aggiungerò alcun significato a ciò che mi dirai.»
Aspettò a lungo una risposta, che arrivò con tutto il doloroso peso di una funesta profezìa. «Aumenti delle tasse, guarnigioni svuotate, cavalli e buoi confiscati in tutto l'Impero... Si direbbe che Galbatorix stia radunando le forze per combatterci, anche se non so stabilire se per offesa o per difesa.» Ombre fuggevoli passarono sui loro volti mentre una formazione di storni volteggiava davanti al sole. «La domanda che mi assilla è: quanto impiegherà per mobilitarsi? Perché questo determinerà il corso della nostra strategia.»
«Settimane. Mesi. Anni. Non posso prevedere le sue azioni.»
Il re annuì. «I tuoi agenti continuano a diffondere notizie su Eragon?»
«Sta diventando sempre più pericoloso, ma sì. La mia speranza è che se spargiamo la voce delle imprese di Eragon in città come Dras-Leona, quando alla fine raggiungeremo la città e gli abitanti lo vedranno, si uniranno a noi di loro spontanea volontà, dandoci modo di evitare un assedio.»
«Di rado la guerra è così facile.»
Lei lasciò cadere il commento. «E che cosa mi dici del tuo esercito? I Varden sono pronti a combattere, come sempre.» Orrin allargò le braccia in un gesto conciliante. «È difficile sollevare una nazione, Nasuada. Ci sono nobili che devo convincere a sostenermi, armature e armi da fabbricare, provviste da accumulare...»
«E nel frattempo, come sfamerò la mia gente? Abbiamo bisogno di più terra di quanta ce ne hai concessa...» «Sì, lo so» disse lui.
«... e la otterremo soltanto invadendo l'Impero, a meno che tu non voglia fare dei Varden un'appendice permanente del Surda. Se è così, dovrai trovare una casa alle migliaia di persone che ho portato con me dal Farthen Dùr, il che non piacerà ai tuoi sudditi. Qualunque sia la tua scelta, decidi in fretta, perché temo che se continui ad aspettare, i Varden si disintegreranno in un'orda incontrollabile.» Cercò di non farla suonare come una minaccia.
Tuttavia Orrin non apprezzò l'insinuazione. Arricciò il labbro superiore e disse: «Tuo padre non si sarebbe mai lasciato sfuggire di mano i suoi uomini. Confido che nemmeno tu lo farai, se hai intenzione di restare capo dei Varden. Quanto ai nostri preparativi, c'è un limite a quel che si può fare in così breve tempo: dovrai aspettare finché non saremo pronti.»
Lei strinse con forza il davanzale tanto che le si gonfiarono le vene dei polsi e le unghie affondarono nelle fessure fra le pietre, ma non permise alla collera di alterare il suo tono. «In questo caso, presterai ai Varden altro oro per comprare il cibo?»
«No. Vi ho già dato tutto quello che potevo.»
«Come mangeremo, allora?»
«Ti suggerisco di trovare voi stessi i fondi.»
Furibonda, gli rivolse il più ampio e luminoso dei sorrisi - mantenendolo abbastanza a lungo da farlo sentire a disagio poi fece una riverenza profonda, come la più umile delle cameriere, senza mai abbandonare quel falso sorriso. «Ti saluto, mio sire. Spero che il resto della tua giornata sia gradevole come lo è stata la nostra conversazione.» Orrin borbottò una risposta incomprensibile mentre lei imboccava la porta del laboratorio. Nella foga, Nasuada urtò un flacone di giada con la manica e lo rovesciò; il flacone si ruppe e del liquido giallastro le schizzò sulla manica e le colò sulla veste. Fece un gesto stizzito, ma non si fermò.
Farica la incontrò in cima alle scale, e insieme riattraversarono il dedalo di corridoi fino alle stanze di Nasuada.
Appesi a un filo
Nasuada spalancò di colpo la porta dei suoi appartamenti, marciò verso la scrivania e si lasciò cadere su una sedia, cieca a tutto il resto. La sua schiena era così rigida che le spalle non toccavano nemmeno lo schienale. Si sentiva paralizzata dall'irrisolvibile dilemma che i Varden dovevano affrontare. Il suo respiro affannato rallentò fino a diventare quasi impercettibile. Ho fallito, continuava a ripetersi.
«Signora, la tua manica!»
Riscossa dai propri pensieri, Nasuada girò lo sguardo e vide Farica che le batteva il braccio destro con uno straccio. Un filo di fumo si levava dalla manica ricamata. Allarmata, Nasuada si alzò dalla sedia e ruotò il braccio, in cerca dell'origine del fumo. La manica e parte della gonna si stavano disintegrando in una sorta di ragnatela gessosa che emetteva acri vapori.
«Aiutami a levarlo» disse.
Si costrinse a restare immobile, con il braccio contaminato proteso lontano dal corpo, mentre Farica le slacciava la sopravveste. Le dita dell'ancella annasparono frenetiche sulla schiena di Nasuada, impigliandosi nei nodi, poi finalmente liberò il busto di Nasuada dal corsetto di lana. Non appena l'abito si afflosciò, Nasuada sfilò le braccia dalle maniche e si liberò della stoffa.
Ansante, rimase accanto alla scrivania, vestita soltanto della lunga camiciòla di lino e delle pantofoline ricamate. Con suo sollievo, la costosa sottoveste non era rimasta danneggiata, anche se aveva assunto un odore nauseabondo. «Ti sei bruciata?» chiese Farica. Nasuada scosse la testa, incapace di muovere la lingua. Farica spinse la sopravveste con la punta del piede. «Che diavoleria è mai questa?»
«Uno di quegli orribili intrugli di Orrin» gracchiò Nasuada. «L'ho fatto cadere nel suo laboratorio.» Cercando di calmarsi con lunghi respiri, esaminò sgomenta l'abito rovinato. Era stato tessuto dalle nane del Dùrgrimst Ingietum come dono per il suo ultimo compleanno, ed era uno dei pezzi più eleganti del suo guardaroba. Non aveva niente per sostituirlo, né poteva commissionare un altro abito, viste le difficoltà finanziarie dei Varden. In qualche modo dovrò farne a meno.
Farica scosse il capo. «Che peccato, perdere un vestito così bello.» Girò intorno alla scrivania per prendere un cestino da lavoro e tornò con un paio di forbici. «Cercherò di salvare quanta più stoffa possibile. Il resto lo faremo bruciare.» Nasuada s'incupì e cominciò a misurare la stanza a grandi passi, schiumante di collera per la propria sbadataggine e per l'ennesimo problema che si aggiungeva alla sua già lunga lista di preoccupazioni. «Cosa indosserò a corte, adesso?» si lamentò.
Le forbici penetrarono nella morbida lana con vivace autorità. «Magari il vestito di lino.»
«È troppo semplice per comparire davanti a Orrin e ai suoi nobili.»
«Fammi provare, signora. Sono sicura di poterlo sistemare in qualche modo. Quando avrò finito, sembrerà due volte più elegante di questo.»
«No, no. Non funzionerebbe. Riderebbero di me. Già è difficile ottenere il loro rispetto quando sono ben vestita, figurati se indossassi una veste rattoppata che dichiara ai quattro venti la nostra povertà.»
La donna fissò Nasuada con uno sguardo tenace. «Funzionerà, purché tu non chieda scusa per il tuo aspetto. Non solo, ti garantisco che le altre signore rimarranno così colpite dal tuo nuovo abito che vorranno imitarti. Aspetta e vedrai.» Farica andò alla porta e la socchiuse quel tanto da infilarci il braccio teso che reggeva il tessuto danneggiato. «Tieni» disse rivolta a una guardia. «La tua signora vuole che lo bruci. Fallo in segreto e non dire una parola ad anima viva, altrimenti ne risponderai a me.» La guardia battè i tacchi e si allontanò.
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