Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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Grazie, disse Eragon, accovacciandosi accanto alle pietre incandescenti per riscaldarsi.
Ricorda, Saphira, di usare la lingua per dirigere la fiammata, l'ammonì Glaedr. Ora... i più grandi stregoni degli elfi impiegarono nove anni per elaborare l'incantesimo necessario. Quando alla fine ci riuscirono, gli elfi e i draghi si radunarono a Ilirea. Gli elfi fornirono la struttura dell'incantesimo, mentre i draghi ci misero la forza, e insieme fusero le anime degli elfi e dei draghi.
L'unione ci cambiò. Noi draghi acquistammo l'uso della favella e di altre insidie della civilizzazione, mentre gli elfi condivisero la nostra longevità, poiché fino a quel momento la loro vita durava quanto quella degli umani. In fondo furono gli elfi a subire le maggiori trasformazioni. La nostra magia, la magia dei draghi - che permea ogni fibra del nostro essere -fu trasmessa agli elfi e col tempo conferì loro quella forza e quella grazia a cui tanto ambivano. Gli umani non subirono un'influenza così potente, dato che foste aggiunti all'incantesimo quando era già in . attività, e non ebbe il tempo di operare su di voi come sugli elfi. Eppure, e qui l'occhio di Glaedr scintillò, esso ha comunque ingentilito la vostra razza trasformando i rozzi barbari che arrivarono per primi in Alagaèsia, anche se poi avete cominciato a regredire, dopo la caduta dei Cavalieri.
«I nani hanno mai fatto parte dell'incantesimo?» chiese Eragon.
No, ed è per questo che non c'è mai stato un nano Cavaliere. I nani non hanno simpatia per i draghi, e la cosa è reciproca, e trovavano ripugnante l'idea di unirsi a noi. Probabilmente è stata una fortuna che non siano entrati nel patto, perché sono sfuggiti al declino degli umani e degli elfi.
Declino, maestro? chiese Saphira, con quello che Eragon avrebbe giurato essere un tono ironico. Sì, declino. Se una delle nostre tre razze soffre, anche le altre ne subiscono le conseguenze. Sterminando i draghi, Galbatorix minò la sua stessa razza, come quella degli elfi. Voi due non ve ne siete ancora accorti, perché siete nuovi di Ellesméra, ma gli elfi sono al tramonto; i loro poteri non sono più quelli di una volta. E gli umani hanno perduto gran parte della loro cultura e sono consumati dal caos e dalla corruzione. Soltanto riportando l'equilibrio fra le nostre razze l'ordine tornerà nel mondo.
Il vecchio drago frantumò la ghiaia con gli artigli, riducendola in polvere per essere più comodo. Insito nell'incantesimo tutelato dalla regina Tarmunora c'era il meccanismo che consente a un cucciolo di essere legato al suo Cavaliere. Quando un drago decide di dare un uovo ai Cavalieri, si pronunciano certe parole sull'uovo, parole che vi insegnerò più tardi, tese a impedire all'uovo di schiudersi se non in presenza della persona a cui deciderà di legarsi. Dato che i draghi possono restare nell'uovo per un perìodo indefinito, il tempo non è un problema, né il cucciolo subisce alcun danno. Tu, Saphira, sei un esempio di tutto questo.
Il legame che si forma fra un Cavaliere e il drago non è altro che una versione perfezionata del legame che già esiste fra le nostre razze. L'umano o l'elfo diventa più forte e più bello, mentre alcuni tratti più feroci del drago vengono temperati da un aspetto più ragionevole... Vedo che ti urge una domanda, Eragon. Di' pure.
«È solo...» Esitò. «Mi risulta difficile immaginare te o Saphira ancora più feroci.» Poi aggiunse con una punta d'ansia: «Non che sia un male.»
Il suolo tremò come scosso da una frana quando Glaedr ridacchiò, roteando il grande occhio dorato sotto la palpebra cornea. Se avessi mai incontrato un drago senza vincoli, non diresti così. Un drago solitario non rende conto a niente e a nessuno, si prende ciò che vuole, e non mitre sentimenti benevoli se non per quelli della sua razza. Feroci e orgogliosi erano i draghi selvatici, persino arroganti... Le femmine erano così formidabili che era ritenuta una grande impresa fra i draghi dei Cavalieri accoppiarsi con una di loro.
La mancanza di questo profondo legame è il motivo per cui l'unione di Galbatorix con Shruikan, il suo secondo drago, è una depravazione. Shruikan non scelse Galbatorix come compagno; fu costretto con la magia nera a servire la follia del re. Galbatorix ha creato un'imitazione perversa della relazione che tu, Eragon, e tu, Saphira, condividete, e che lui perse quando gli Urgali uccisero il suo drago originario.
Glaedr fece una pausa per osservarli entrambi. Il suo occhio era l'unica cosa che si muoveva. Ciò che vi unisce va ben oltre un semplice collegamento mentale. Le vostre anime, le vostre identità... chiamatele come volete... sono state saldate alla radice. Il suo occhio guizzò su Eragon. Tu credi che l'anima di una persona sia divisa dal suo corpo? «Non lo so» disse Eragon. «Una volta, Saphira mi fece uscire dal mio corpo per guardare il mondo attraverso i suoi occhi... Mi sembrò di non essere più in contatto col mio corpo. Se esistono gli spiriti che uno stregone può evocare, allora anche la nostra coscienza dovrebbe essere indipendente dalla carne.»
Allungando la punta aguzza di un artiglio, Glaedr capovolse un piccolo masso per esporre un ratto che si nascondeva nella sua tana. Con un guizzo della lingua rossa, Glaedr catturò il ratto e lo ingoiò; Eragon fece una smorfia nel sentire la vita dell'animale che si spegneva.
Quando la carne viene distrutta, lo stesso accade all'anima, disse Glaedr.
«Ma un animale non è una persona» protestò Eragon.
Dopo le tue meditazioni, credi ancora di essere diverso da un ratto? Che siamo dotati di qualche miracolosa qualità che le altre creature non possiedono e che in qualche modo essa ci preserva anche dopo la morte?
«No» mormorò Eragon.
Già. Noi siamo così intimamente uniti che quando un drago o un Cavaliere viene ferito deve indurire il proprio cuore e recidere il legame per proteggere l'altro da inutili sofferenze, persino dalla pazzia. E poiché un'anima non si può separare dalla carne, si deve resistere alla tentazione di prendere l'anima del compagno nel proprio corpo per conservarla, perché il risultato sarebbe soltanto la morte di entrambi. Se anche fosse possibile, sarebbe un abominio avere coscienze multiple in un solo corpo.
«Che cosa terribile» disse Eragon, «morire soli, separati perfino da colui o colei che ti è più vicino.» Ciascuno di noi muore solo, Eragon. Che tu sia un re sul campo di battaglia, o un contadino nel suo letto, circondato dalla famiglia, nessuno può accompagnarti nel vuoto... Ora vi farò esercitare a separare le coscienze. Cominciamo con... Eragon fissò il vassoio della cena lasciato nel vestibolo della casa sull'albero e ne catalogò il contenuto: pane con burro di nocciole, bacche, legumi, un'insalatiera di foglie verdi, due uova sode - che, in ottemperanza alle convinzioni degli elfi, non erano fecondate - e una caraffa di fresca acqua sorgiva. Sapeva che a ogni piatto era stata dedicata la massima cura, che gli elfi impiegavano tutta la loro arte culinaria nella preparazione dei suoi pasti, e che nemmeno Islanzadi mangiava meglio di lui.
Ma non poteva sopportare la vista di quel vassoio.
Ho voglia di carne, borbottò, tornando a capo chino nella sua stanza. Saphira lo guardò dalla sua pedana. Mi andrebbe bene anche del pesce, o del pollo, qualunque cosa invece di questo fiume infinito di verdure. Non mi riempiono lo stomaco. Non sono un cavallo; perché devo mangiare così?
Saphira si alzò e si sporse dall'apertura a goccia che affacciava su Ellesméra, dicendo: Negli ultimi giorni mi è venuta fame. Ti piacerebbe venire con me? Potrai cucinarti quanta carne vorrai e gli elfi non lo sapranno mai. Mi piacerebbe eccome, disse Eragon, illuminandosi. Prendo la sella?
Non andremo lontano.
Eragon fece incetta di sale, erbe e altri condimenti dalle bisacce e poi, attento a non affaticarsi, si arrampicò nello spazio fra le acuminate placche dorsali di Saphira.
Spiccando il volo, Saphira sfruttò una corrente ascensionale per librarsi sulla città, dove abbandonò la corrente calda per virare e seguire un corso d'acqua che si snodava nella Du Weldenvarden fino a un laghetto a poche miglia da Ellesméra. Atterrò e si accucciò sul terreno per far scendere Eragon.
Ci sono dei conigli nell'erba che orla il laghetto, disse. Prova a catturarli. Nel frattempo io vado a caccia di cervi. Che cosa, non vuoi condividere le tue prede con me?
No, non voglio, grugnì lei. Ma lo farò, se quei topi troppo cresciuti ti sfuggono.
Eragon sorrise mentre la dragonessa si levava in volo, poi rivolse la sua attenzione ai ciuffi d'erba e di panace che circondavano lo stagno, e si accinse a procurarsi la cena.
Meno di un minuto dopo, Eragon sollevò una coppia di conigli morti dalla loro tana. Gli era bastato un istante per localizzare i conigli con la mente e poi ucciderli con una delle dodici parole di morte. Quello che aveva imparato da Oromis lo aveva privato della sfida e dell'eccitazione della caccia. Non ho nemmeno dovuto stanarli, pensò, ricordando gli anni passati ad affinare le sue capacità venatorie. Sorrise di amaro divertimento. Finalmente posso cacciare qualunque -preda, e non mi diverto più. Almeno quando ho cacciato con un sasso, insieme a Brom, era ancora una sfida, ma così... così è un massacro.
L'ammonimento della fabbricante di spade, Rhunòn, gli tornò alla mente: "Quando puoi ottenere tutto quello che vuoi pronunciando qualche parola, non ha più importanza la meta, ma il viaggio per raggiungerla."
Avrei dovuto darle ascolto, si disse Eragon.
Con mosse esperte trasse il suo vecchio pugnale da caccia, spellò i conigli e li privò delle interiora - mettendo da parte cuore, polmoni, reni e fegato - e seppellì le viscere perché l'odore non attraesse le bestie. Poi scavò una buca, la riempì di legna e accese un fuoco con la magia, dato che non aveva pensato a portare con sé pietra focaia e acciarino. Badò al fuoco finché non divenne un letto di braci. Tagliando un rametto di sanguinella, lo scortecciò e lo bruciacchiò sui tizzoni perché perdesse l'amara linfa, poi infilzò le carcasse sullo spiedo e lo appoggiò su due rami a forcella conficcati nel terreno. Per le interiora, posò un sasso piatto sulla brace e lo spalmò di grasso perché fungesse da padella. Saphira lo trovò accovacciato accanto al fuoco, intento a rigirare lentamente lo spiedo. Atterrò con un cervo morto che le penzolava dalle fauci e i resti di un secondo stretti fra gli artigli. Adagiando la sua mole sull'erba fragrante, cominciò a mangiare la preda, divorandola intera, compresa la pelle. Le ossa schioccarono fra i suoi denti affilati come rami che si spezzano in una bufera.
Quando i conigli furono pronti, Eragon agitò lo spiedo per farli raffreddare, poi guardò la carne dorata e lucente che emanava un aroma allettante.
Quando aprì la bocca per staccare il primo morso, il suo pensiero tornò involontariamente alle meditazioni. Ricordò le escursioni nella mente degli uccelli, degli scoiattoli e dei topi, come li aveva sentiti pieni di energia e come lottavano con vigore per il diritto di esistere davanti al pericolo. E se questa vita è tutto quello che hanno... Con un moto di repulsione, Eragon gettò via la carne, inorridito dal fatto di aver ucciso i conigli come se avesse assassinato due persone. Lo stomaco gli si ribellò e dovette sforzarsi per non vomitare.
Saphira alzò gli occhi dal suo festino per guardarlo preoccupata.
Inspirando a fondo, Eragon si premette i pugni sulle ginocchia nel tentativo di controllarsi e capire che cosa lo sconvolgeva tanto. Per tutta la vita aveva mangiato carne, pesce e pollame. Gli piaceva. E adesso si sentiva male tìsicamente al solo pensiero di mangiare dei conigli. Guardò Saphira. Non posso farlo, le disse.
Il mondo è fatto così: ciascuno mangia qualcun altro. Che senso ha resistere all'ordine delle cose? Lui riflettè sulla domanda. Non condannava coloro che mangiavano carne: sapeva che era l'unico mezzo di sussistenza per molti poveri contadini. Ma lui non poteva più farlo, a meno di non morire di fame. Dopo essere stato dentro un coniglio e aver percepito quel che un coniglio sentiva... mangiarlo sarebbe stato come mangiare una parte di sé. Perché possiamo migliorarci, rispose a Saphira. Dovremmo forse seguire i nostri impulsi di ferire o uccidere qualcuno che ci fa arrabbiare, o prendere quello che vogliamo dai più deboli, e in generale ignorare i sentimenti degli altri? Siamo fatti imperfetti e dobbiamo guardarci dai nostri difetti altrimenti ci distruggeranno. Indicò i conigli. Come ha detto Oromis, perché causare sofferenze inutili?
Vorresti rinunciare a tutti i tuoi desideri, dunque? Soltanto a quelli distruttivi.
Ne sei assolutamente convinto?
Sì.
In questo caso, disse Saphira, avvicinandosi, saranno per me un ottimo dessert. In un batter d'occhio, ingoiò i due conigli e poi leccò la pietra con le interiora, grattandola con la lingua barbata fino a farla luccicare. Io, se non altro, non posso vivere di sole piante... quello è cibo per prede, non per draghi. Mi rifiuto di sentirmi in colpa per come mi nutro. Tutto ha il suo posto al mondo. Perfino un coniglio lo sa.
Non sto cercando di farti sentire in colpa, disse Eragon, dandole una pacca sul fianco. È una decisione personale. Non voglio costringere nessuno ad adottare la mia scelta.
Molto saggio, commentò lei con una punta di sarcasmo.
Uova infrante e nido distrutto
Concentrati, Eragon» disse Oromis, con voce paziente. Eragon battè le palpebre e si strofinò gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco i glifi che decoravano il foglio di pergamena davanti a sé. «Mi dispiace, maestro.» La stanchezza lo rallentava come se avesse dei pesi attaccati alle membra. Aguzzò la vista per osservare i glifi curvi e appuntiti, sollevò il calamo di penna d'oca e cominciò a ricopiarli. Attraverso la finestra alle spalle di Oromis, la distesa erbosa in cima alla rupe di Tel'naeir si andava screziando di ombre per il sole morente. In lontananza, brandelli di nuvole rosa striavano il cielo.
La mano di Eragon si contrasse quando una fitta di dolore gli percorse la gamba, e spezzò la punta del calamo, schizzando inchiostro sulla carta. Dall'altro lato del tavolo, anche Oromis trasalì, stringendosi il braccio destro. Saphira! gridò Eragon. Tentò di raggiungerla con la mente, ma con sua sorpresa si trovò ostacolato da una barriera impenetrabile che lei stessa aveva eretto intorno a sé. A stento la percepiva. Era come tentare di afferrare una sfera di liscio granito coperto d'olio. Lei continuava a sfuggirgli.
Eragon guardò Oromis. «È successo qualcosa, vero?»
«Non lo so. Glaedr sta tornando, ma si rifiuta di parlarmi.» Staccando Naegling, la sua spada, dalla parete, Oromis uscì dal capanno e si fermò sul ciglio della rupe, con la testa alzata, in attesa di veder comparire il drago dorato. Eragon lo raggiunse, pensando a tutto quello che poteva essere accaduto a Saphira, il probabile e l'improbabile. I due draghi si erano alzati in volo a mezzogiorno, diretti a nord, in un luogo chiamato la rocca delle Uova Infrante, dove i draghi selvatici dimoravano nei tempi antichi. Era un viaggio facile. Non possono essere stati gli Urgali; gli elfi non li lasciano entrare nella Du Weldenvarden, si disse.
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