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Volodyk - Paolini2-Eldest

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Название:
Paolini2-Eldest
Автор
Издательство:
неизвестно
ISBN:
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Год:
неизвестен
Дата добавления:
5 октябрь 2019
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Volodyk - Paolini2-Eldest

Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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Paolini2-Eldest читать онлайн бесплатно

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Nasuada scosse il capo. «No, non posso farlo, non quando è in gioco il bene dei Varden.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Oh, Eragon?»

«Sì, mia signora?»

«In caso di morte, ho scelto te come mio successore. In tale eventualità, ti suggerisco di affidarti al parere di Jòrmundur, che ha molta più esperienza di ogni altro membro del Consiglio degli Anziani, e mi aspetto che anteporrai a ogni altra cosa il benessere di coloro che sono sottoposti a te. Sono stata chiara, Eragon?»

L'annuncio lo colse di sorpresa. Niente era più importante per lei dei Varden. Affidarli a lui era il più grande atto di stima che potesse esprimergli. La sua fiducia lo umiliò e lo commosse; chinò il capo. «Farò di tutto per essere un buon capo come te e Ajihad. Tu mi onori, Nasuada.»

«Sì, ti onoro.» Voltandogli le spalle, si riunì agli altri.

Il turbamento provocato dalla rivelazione di Nasuada mitigò la sua rabbia. Tornò lentamente da Saphira. Studiò Garzhvog e gli altri Urgali, cercando di intuire il loro umore, ma i loro lineamenti erano così diversi da quelli a cui era abituato che non poteva distinguere se non le emozioni più evidenti. Né trovò comprensione dentro di sé per gli Urgali. Ai suoi occhi, non erano che bestie feroci che lo avrebbero ucciso senza pensarci due volte, incapaci di amore, gentilezza, o perfino vera intelligenza. In poche parole, erano creature inferiori.

Nel profondo della sua mente, Saphira mormorò: Sono sicura che Galbatorix la pensa allo stesso modo. E per buone ragioni, ringhiò lui, con l'intenzione di impressionarla. Soffocando la sua ripugnanza, disse ad alta voce: «Nar Garzhvog, mi è stato detto che voi quattro avete acconsentito a farmi entrare nelle vostre menti.» «È così, Spadarossa. ledy Furianera ci ha detto che era necessario. Siamo onorati di avere l'occasione di combattere con un guerriero così potente, che tanto ha fatto per noi.»

«Che cosa significa? Ho ucciso decine di Urgali.» All'improvviso, gli sovvennero alcuni brani tratti da una delle pergamene di Oromis. Ricordò di aver letto che gli Urgali, sia maschi che femmine, stabilivano la gerarchia sociale per mezzo di scontri diretti fra due contendenti, ed era stata questa usanza a scatenare tanti conflitti fra gli Urgali e le altre razze. Il che significava - si rese conto Eragon - che se ammiravano le sue gesta in battaglia gli avrebbero accordato lo stesso status di uno dei loro condottieri.

«Uccidendo Durza, ci hai liberati dalla sua influenza. Siamo in debito con te, Spadarossa. Nessuno dei nostri arieti ti sfiderà mai, e se tu e il tuo drago, Lingua di Fuoco, visiterete le nostre dimore, sarete i benvenuti come non è mai accaduto ad alcun estraneo.»

Di tutte le reazioni che Eragon si era aspettato, la gratitudine era la più improbabile, e quella che era meno preparato ad accettare. Incapace di pensare a qualcosa, disse soltanto: «Non lo dimenticherò.» Fece scorrere lo sguardo sugli altri Urgali, poi tornò a fissare gli occhi gialli di Garzhvog. «Siete pronti?»

«Sì, Cavaliere.»

Non appena Eragon entrò in contatto con la coscienza di Garzhvog, gli venne in mente come si era sentito quando i Gemelli lo avevano frugato prima che entrasse nel Farthen Dùr. La memoria si dissolse mentre s'immergeva nell'identità dell'Urgali. La vera natura della sua ricerca significava che Eragon doveva esaminare deliberatamente dolore, ma non fu nemmeno troppo delicato. Sentì Garzhvog fremere per occasionali fitte di disagio. Come quella dei nani e degli elfi, la mente di un Urgali possedeva elementi diversi rispetto a una mente umana. La sua struttura enfatizzava la rigidità e la gerarchia - un risultato del modo in cui le tribù stesse si organizzavano - ma aveva una qualità rozza e dura, brutale e astuta: la mente di un animale.

Anche se non fece alcuno sforzo per saperne di più su Garzohvog come individuo, Eragon non potè fare a meno di assorbire frammenti della sua vita. Garzhvog non oppose resistenza. Al contrario, sembrava più che desideroso di condividere le sue esperienze, per convincere Eragon che gli Urgali non erano i suoi nemici naturali. Non possiamo permetterci che un altro Cavaliere insorga per distruggerci, dichiarò Garzhvog. Guarda bene, Spadarossa, e vedi se siamo davvero i mostri che tu dici...

Fra di loro guizzarono così tanti lampi di immagini e sensazioni che Eragon si sentì smarrito: l'infanzia di Garzhvog con gli altri membri della cucciolata, in un villaggio di catapecchie annidato nel cuore della Grande Dorsale; la madre che gli pettinava i capelli con le corna di un cervo cantandogli una dolce nenia; le corse nei boschi per imparare a cacciare cervi e altre prede a mani nude; il suo corpo che cresceva sempre di più e il buon sangue che non mentiva, promettendo di fargli superare gli otto piedi di altezza, facendo di lui un Kull; le decine di sfide che aveva lanciato, accettato e vinto; le incursioni al di fuori del villaggio per acquistare fama e trovare così una compagna per riprodursi; come aveva imparato gradualmente a odiare e temere - sì, temere - un mondo che condannava la sua razza; la scoperta di come Durza li aveva manipolati; e la presa di coscienza che l'unica loro speranza era deporre gli antichi rancori, allearsi ai Varden e sconfiggere Galbatorix. Da nessun parte Eragon trovò prove che Garzhvog stesse mentendo. Non riusciva a comprendere ciò che aveva visto. Allontanatosi dalla mente di Garzhvog, indagò quelle degli altri tre Urgali. I loro ricordi confermarono i fatti presentati da Garzhvog. Non fecero alcun tentativo di nascondere che avevano ucciso molti umani, ma lo avevano fatto su ordine di Durza, quando lo Spettro li controllava, o quando combattevano gli umani per cibo e terra. Abbiamo fatto quello che dovevamo per proteggere le nostre famiglie, dissero. Quando Eragon ebbe finito, guardò Garzhvog negli occhi e capì che l'Urgali era di sangue nobile come qualunque principe delle altre razze. Capì che, per quanto incivile, era un condottiero valoroso e un filosofo e un pensatore non inferiore allo stesso Oromis. Di sicuro è più brillante

di me confessò Eragon a Saphira. Esponendo la gola in segno di rispetto, disse ad alta voce: «Nar Garzhvog» e per la prima volta comprese le nobili origini del termine nar. «Sono fiero di averti al mio fianco. Puoi dire alle tue Herndall che finché gli Urgali terranno fede alla parola data e non si rivolteranno contro i Varden, non mi opporrò a voi.» Eragon dubitava che sarebbe mai riuscito a farsi piacere gli Urgali, ma il ferreo pregiudizio che fino a qualche minuto prima aveva provato gli sembrava ora una prova d'ignoranza, e non poteva continuare a sostenerlo in buona fede. Saphira gli sfiorò il braccio con la ruvida punta della lingua, facendo tintinnare la maglia d'acciaio. Ci vuole coraggio per ammettere che ti sbagliavi.

Soltanto se hai paura di apparire uno sciocco. E io sarei sembrato ancora più sciocco se mi fossi intestardito a mantenere una convinzione errata.

Sai, piccolo mio, hai appena pronunciato una saggia verità.

Malgrado il tono canzonatorio, Eragon sentì che la dragonessa era orgogliosa di quanto lui aveva fatto. «Siamo di nuovo in debito con te, Spadarossa» disse Garzhvog. Lui e gli altri Urgali si premettero i pugni alla base delle

- cercare intenzioni ostili nascoste, forse, nel passato di Garzhvog - anni di ricordi. Al contrario dei Gemelli, Eragon evitò di causare corna sporgenti.

Eragon sapeva che Nasuada moriva dalla voglia di conoscere ogni dettaglio di quanto aveva appreso, ma si tratteneva. «Bene. Ora che questo è fatto, devo andare. Eragon, riceverai il mio segnale da Trianna quando arriverà il momento.» Detto questo, si allontanò, inghiottita dalle tenebre.

Mentre Eragon si appoggiava stanco al ventre di Saphira, arrivò Orik, che gli disse con un sogghigno: «Meno male che ci saremo noi nani a difenderti, eh? Guarderemo i Kull come falchi, sta' sicuro. Non permetteremo che ti attacchino quando volti le spalle. Non appena proveranno ad alzare un dito su di te, gli taglieremo i garretti da sotto.» «Credevo che fossi d'accordo con Nasuada nell'accettare la proposta degli Urgali.»

«Questo non significa che mi fido di loro o che combatto volentieri al loro fianco, ti pare?» Eragon sorrise e decise di non insistere; sarebbe stato impossibile convincere Orik che gli Urgali non erano brutali assassini, quando anche lui li aveva considerati tali finché non aveva passato in rassegna i loro ricordi.

La notte si trascinava lenta, mentre i guerrieri aspettavano l'alba. Orik estrasse una cote dalla tasca e cominciò ad affilare la sua ascia. Quando arrivarono, gli altri sei nani presero a fare lo stesso, e il raspio della pietra contro il metallo riempì l'aria. I Kull sedevano schiena contro schiena, mormorando canti di morte sottovoce. Eragon passò il tempo evocando incantesimi di protezione per sé, Saphira, Nasuada, Orik e perfino Arya. Sapeva che era pericoloso tentare di proteggere tante persone, ma non poteva sopportare il pensiero che venissero feriti. Quando ebbe finito, trasferì la massima quantità di energia di cui osò privarsi nei diamanti incastonati nella cintura di Beloth il Savio. Eragon osservò con interesse Angela indossare l'armatura nera e verde per poi aprire una cassa di legno intagliato da cui estrasse due lunghi manici di legno e due lame di acciaio temperato. L'indovina avvitò i due pali al centro e infilò le lame nelle scanalature alle estremità, assemblando così il suo bastone-spada. Fece roteare l'arma sopra la testa per qualche istante, prima di annuire soddisfatta, sicura che avrebbe resistito agli urti della battaglia. I nani la guardavano con disapprovazione, ed Eragon sentì uno di loro che diceva: «... blasfemia che una persona estranea al Dùrgrimst Quan brandisca l'hùthvìr.»

E poi l'unico suono fu lo stridio lacerante provocato dai nani che affilavano le asce.

Era quasi l'alba quando udirono le grida. Eragon e Saphira furono i primi ad avvertirle grazie all'udito più sensibile, ma le urla di dolore furono ben presto udibili a tutti. Balzato in piedi, Orik guardò verso l'esercito dell'Impero, da cui provenivano i lamenti strazianti. «Che razza di creature stanno torturando per provocare questi ululati tremendi? Mi fanno ghiacciare il midollo nelle ossa, mi fanno.»

«Vi avevo detto che non avreste dovuto aspettare a lungo» disse Angela. La sua abituale giovialità era scomparsa; aveva il volto pallido e tirato, come se fosse malata.

Eragon disse: «Sei stata tu?»

«Sì. Ho avvelenato le loro razioni, il loro pane, la loro acqua... tutto quello su cui sono riuscita a mettere le mani. Alcuni moriranno subito, altri moriranno dopo, quando le diverse tossine avranno effetto. Ho somministrato la belladonna e altri veleni agli ufficiali perché abbiano le allucinazioni in battaglia.» Cercò di sorridere, ma senza risultati. «Un modo non molto onorevole di combattere, suppongo, ma preferisco questo alla morte.»

«Soltanto un codardo o un ladro usa il veleno!» esclamò Orik. «Che gloria c'è nello sconfiggere un avversario indebolito?» Le urla crebbero mentre parlava.

Angela proruppe in una risata sinistra. «Gloria? Se è la gloria che cerchi, ci sono altre migliaia di soldati che non ho avvelenato. Sono sicura che otterrai la tua parte di gloria per la fine di questa giornata.»

«È per questo che eri tanto interessata alle attrezzature nella tenda di Orrin?» chiese Eragon. Trovava il suo gesto profondamente ripugnante, ma non pretese di giudicare se fosse giusto o sbagliato. Era necessario. Angela aveva avvelenato i soldati per la stessa ragione per cui Nasuada aveva accettato l'alleanza con gli Urgali: perché poteva essere l'unica speranza di sopravvivenza.

«Esatto.»

I lamenti dei soldati crebbero finché Eragon non ebbe la voglia di tapparsi le orecchie per non sentirli. Lo facevano rabbrividire e fremere. Ma si costrinse ad ascoltarli. Era il prezzo da pagare per resistere all'Impero. Sarebbe stato sbagliato ignorarli. Rimase per tanto tempo seduto, con i pugni stretti e la mascella contratta, mentre le Pianure Ardenti echeggiavano delle grida disincarnate degli uomini morenti.

Scoppia la tempesta

I primi raggi dell'alba già lambivano la terra quando Trianna disse a Eragon: È l'ora. Una scarica di adrenalina cancellò il torpore di Eragon in un istante; balzò in piedi, passò parola a quanti gli stavano attorno, e montò in sella a Saphira, estraendo il nuovo arco dalla faretra. I Kull e i nani circondarono Saphira, e insieme andarono in fretta verso le fortificazioni, dove raggiunsero l'apertura che era stata sgombrata di notte.

I Varden si riversarono dal varco più piano che potevano. Ranghi serrati di guerrieri marciavano con le corazze e le armi avvolte negli stracci perché nessun rumore avvertisse l'Impero della loro avanzata. Saphira si unì al corteo quando tra gli uomini comparve Nasuada in sella a un destriero roano, affiancata da Arya e Trianna. I cinque si scambiarono tacite occhiate d'intesa. Nient'altro.

Durante la notte, i vapori mefitici si erano accumulati in una densa e bassa cappa di nubi che la fievole luce del mattino rendeva opaca. In questo modo, i Varden riuscirono ad attraversare i tre quarti della terra di nessuno prima di essere avvistati dalle sentinelle dell'Impero. Quando i corni suonarono l'allarme, Nasuada gridò: «Eragon, ora! Di' a Orrin di attaccare. Varden, a me! Combattete per riprendervi la vostra terra! Combattete per salvare le vostre mogli e i vostri figli! Combattete per sconfiggere Galbatorix! Attaccate, e bagnate le vostre lame col sangue dei nostri nemici! Carica!» Spronò il cavallo a un trotto veloce, e con un ruggito da belva gli uomini la seguirono, agitando le armi. Eragon trasmise l'ordine di Nasuada a Barden, lo stregone che cavalcava con re Orrin. Un istante dopo, udì lo scalpitio degli zoccoli, mentre Orrin e la sua cavalleria accompagnata dal resto dei Kull che riuscivano a correre al passo dei cavalli galoppavano da est. Caricarono i fianchi dell'Impero, respingendo i soldati verso il fiume Jiet, così da distrarli il tempo necessario ai Varden per coprire il resto della distanza senza ostacoli.

I due schieramenti si scontrarono in un fragore assordante. Le picche cozzarono contro le lance, i martelli contro gli scudi, le spade contro gli elmi, mentre al di sopra della mischia i rapaci assetati di sangue lanciavano acute grida, volteggiando impazziti per l'odore di carne fresca.

Eragon provò un tuffo al cuore. Ora devo uccidere o essere ucciso. Nello stesso momento, sentì che gli incantesimi di protezione attingevano alla sua energia per deviare gli attacchi rivolti ad Arya, Orik, Nasuada e Saphira. Saphira rimase indietro rispetto alla prima linea, perché altrimenti sarebbero stati troppo esposti agli stregoni di Galbatorix sul fronte opposto. Con un profondo respiro, Eragon cominciò a cercarli con la mente, e al tempo stesso scagliava frecce. Il Du Vrangr Gata individuò il primo stregone nemico. Nell'istante in cui fu avvertito, Eragon raggiunse mentalmente la donna che aveva fatto la scoperta e attraverso di lei il nemico a cui era collegata. Attingendo a tutto il suo potere, Eragon demolì le barriere del mago, prese il controllo della sua coscienza cercando di ignorare il terrore dell'uomo, determinò quale reparto l'uomo proteggeva, e poi lo uccise con una delle dodici parole di morte. Senza fermarsi, individuò le menti di ciascuno dei soldati non più protetti, e li uccise. I Varden esultarono vedendo l'intero reparto stramazzare al suolo.


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