Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
Paolini2-Eldest читать онлайн бесплатно
«E dove li metto?» chiese Roran.
«In sala da pranzo andrà bene.»
Poiché le montagne erano troppo ripide e la foresta troppo fitta per i carri, Roran si rese conto che le provviste si dovevano limitare a quanto ciascuno poteva portare in spalla, o caricare sui due cavalli di Horst, anche se uno doveva restare abbastanza libero da lasciare spazio a Elain, quando il cammino le fosse diventato troppo difficoltoso, viste le sue condizioni.
A peggiorare la situazione, c'era il fatto che molte famiglie di Carvahall non avevano abbastanza animali da soma per trasportare sia le provviste che i bambini, i vecchi e i malati impossibilitati a tenere il passo a piedi. Tutti avrebbero dovuto condividere le risorse. Ma la domanda era: con chi? Ancora non sapevano chi sarebbe partito con loro, a parte Brigit e Delwin.
Quando Elain terminò di impacchettare tutti gli oggetti che riteneva necessari - soprattutto viveri e coperte - mandò Roran a chiedere se qualcuno aveva bisogno di altro spazio o, in caso contrario, se poteva chiederlo lei, perché aveva ancora tanti oggetti che avrebbe desiderato portare, ma che avrebbe altrimenti abbandonato.
Malgrado la gente che si affannava per le strade, Carvahall era immersa in un'immobilità forzata, una calma innaturale che smentiva le attività febbrili che fervevano all'interno delle case. Quasi tutti tacevano e camminavano a capo chino, immersi nei propri pensieri.
Quando Roran arrivò a casa di Orval, dovette picchiare il batacchio per quasi un minuto prima che il contadino andasse ad aprirgli. «Oh, sei tu, Fortemartello.» Orval uscì sul portico. «Scusami se ti ho fatto aspettare, ma ero occupato. In che cosa posso aiutarti?» Si batte la lunga pipa nera sul palmo, poi cominciò a rigirarsela nervosamente fra le dita. Dentro la casa, Roran sentì sedie spostate sul pavimento, e pentole e stoviglie che cozzavano fra loro. Roran spiegò in poche parole l'offerta di Elain e la sua richiesta. Orval alzò gli occhi al cielo e socchiuse le palpebre. «Credo di avere abbastanza spazio per la mia roba. Chiedi in giro, e se ancora vi serve spazio, ho una coppia di buoi che possono trasportare qualcosa in più.»
«Perciò tu verrai?»
Orval spostò il peso da un piede all'altro, con malcelato disagio. «Be', non ho detto questo. Ci stiamo solo... preparando, nel caso di un altro attacco.»
Perplesso, Roran si diresse a casa di Kiselt. Ben presto scoprì che nessuno voleva rivelare se aveva deciso di partire o meno, anche se i preparativi avvenivano alla luce del giorno.
Tutti trattavano Roran con una deferenza che il giovane trovò inquietante. Si manifestava in piccoli gesti: mormorii di cordoglio per la sua sventura, rispettosi silenzi quando parlava, cenni di assenso quando affermava qualcosa. Era come se le sue gesta avessero accresciuto la sua statura e intimidito le persone che conosceva fin da bambino, finendo per stabilire una grande distanza fra loro.
Sono marchiato, si disse, arrancando nel fango. Si fermò sull'orlo di una pozzanghera e si chinò per esaminare il suo riflesso, chiedendosi se poteva distinguere cosa lo rendeva così diverso.
Vide un uomo in abiti laceri e macchiati di sangue, con la schiena curva e un braccio appeso al collo. Il collo e le guance erano adombrati da una barba in crescita, mentre i capelli erano una matassa di ciocche aggrovigliate che gli circondavano la testa come un'aureola. Ma la cosa più spaventosa di tutte erano gli occhi, infossati nelle orbite, che gli davano l'aspetto di un fantasma. Da dentro quei due abissi torbidi, il suo sguardo ardeva come acciaio fuso, colmo di dolore, rabbia e ossessione.
Un sorriso malsano gli affiorò sulle labbra, rendendo il suo viso ancora più sconvolgente. Gli piaceva quello che vedeva. Era lo specchio di ciò che provava. Ora capiva com'era riuscito a convincere i compaesani. Scoprì i denti. Posso usare questa immagine. Posso usarla per distruggere i Ra'zac.
Rialzò la testa e s'incamminò, soddisfatto di sé. Proprio in quel momento arrivò Thane, trafelato, e gli afferrò il braccio sinistro in una stretta calorosa. «Fortemartello! Non sai quanto sono felice di vederti.»
«Sul serio?» Roran si chiese se per caso il mondo non si fosse rivoltato durante la notte.
Thane annuì con vigore. «Da quando abbiamo attaccato i soldati, tutto mi è parso privo di speranza. Mi addolora ammetterlo, ma era così. Mi batteva sempre il cuore, come se stessi per cadere in un pozzo senza fondo; mi tremavano le mani; mi sentivo malissimo. Credevo che qualcuno mi avesse avvelenato! Era peggio della morte. Ma quello che hai detto ieri mi ha guarito all'istante e mi ha lasciato intravvedere di nuovo uno scopo, un significato nel mondo! Io... io non so nemmeno spiegarti l'orrore da cui mi hai salvato. Ti sono debitore. Se ti serve qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare a chiedere e io ti aiuterò.»
Commosso, Roran ricambiò la stretta del contadino e disse: «Grazie, Thane. Ti ringrazio.» Thane chinò il capo con le lacrime agli occhi, poi allentò la stretta e lasciò Roran solo in mezzo alla strada.
Che cosa ho fatto?
L'esodo
Una cortina di aria densa e fumosa avvolse Roran non appena ebbe messo piede nei Sette Covoni, la taverna di Morn. Si fermò sotto le corna dell'Urgali inchiodate sulla porta e aspettò che gli occhi si abituassero alla scarsa illuminazione. «C'è nessuno?» chiamò.
La porta che dava sulle stanze sul retro si spalancò di colpo, e Tara piombò nella sala, seguita a ruota da Morn. Entrambi lo guardarono torvi. Tara si piantò le mani carnose sui fianchi e chiese brusca: «Che ci fai qui?» Roran la fissò per un momento, cercando di indovinare la causa di tanta animosità. «Avete deciso se mi accompagnerete sulla Grande Dorsale?»
«Non sono affari tuoi» ribattè Tara.
Oh, sì che lo sono, pensò Roran, ma si trattenne dall'esprimerlo a voce. Invece disse: «Quali che siano le vostre intenzioni, se avete deciso per il sì, Elain gradirebbe sapere se avete spazio nei vostri bagagli per qualche altro oggetto, o se per caso serve a voi dello spazio in più. Lei ha...»
«Spazio in più!» tuonò Morn. Indicò la parete alle sue spalle, dove attendeva una fila di botti di quercia. «Impacchettati nella paglia ho dodici barili della birra più chiara, che ho tenuto alla temperatura perfetta per gli ultimi cinque mesi. Sono l'ultima partita di Quimby! Che dovrei farci, secondo te? E le mie botti di birra forte e scura? Se le lascio qui, i soldati le finiranno nel giro di una settimana, oppure le spaccheranno e verseranno la birra sul terreno, dove le uniche creature che ne godranno saranno bruchi e vermi. Ah!» Morn si lasciò cadere su una sedia, torcendosi le mani e scuotendo la testa. «Dodici anni di lavoro! Dalla morte di mio padre, ho continuato a mandare avanti la taverna come faceva lui, giorno dopo giorno. Ma poi tu ed Eragon siete arrivati a rovinare tutto. Io...» S'interruppe, respirando a fatica, e si asciugò il volto contratto con la manica.
«Su, su, vieni qui.» Tara gli cinse le spalle con il braccio e puntò l'indice contro Roran. «Chi ti ha dato il diritto di sconvolgere Carvahall con le tue chiacchiere assurde? Se partiamo, come farà il mio povero marito a guadagnarsi da vivere? Non può portarsi dietro il mestiere, come Horst o Gedric. Non può chinarsi nei campi a zappare come voi! Impossibile! Se ne andranno tutti, e noi moriremo di fame. E se anche partissimo, moriremmo di fame lo stesso. Ci hai rovinati!»
Lo sguardo di Roran passò dalla faccia arrossata e furibonda della donna a quella sconsolata di Morn, poi si volse e aprì la porta. Si fermò sulla soglia, e in tono sommesso disse: «Vi ho sempre considerati amici. Non voglio che l'Impero vi uccida.» Si strinse la giacca intorno alle spalle e uscì dalla taverna, meditabondo.
Si fermò a bere al pozzo di Fisk, dove Brigit gli andò incontro. Lei lo vide affannarsi a girare la manovella con una mano sola; gli scostò il braccio sano e issò il secchio dell'acqua, che gli passò senza bere. Lui sorseggiò il liquido fresco e disse: «Sono lieto che venga anche tu.» Le restituì il secchio.
Brigit lo squadrò con occhi inflessibili. «Riconosco la forza che ti spinge, Roran, perché è la stessa che spinge me: entrambi vogliamo trovare i Ra'zac. Ma quando l'avremo fatto, esigerò da te il risarcimento per la morte di Quimby. Non dimenticarlo mai.» Lasciò cadere il secchio nel pozzo, senza frenare la manovella che girava vorticosamente. Un istante dopo, il pozzo risuonò di un tonfo sordo.
Roran sorrise nel vederla andar via. Era più compiaciuto che avvilito per la sua dichiarazione: sapeva che se anche tutto il resto di Carvahall avesse rinunciato alla causa o fosse morto, Brigit sarebbe rimasta ad aiutarlo a inseguire i Ra'zac. Dopo - se mai ci fosse stato un dopo avrebbe dovuto pagare il suo prezzo o ucciderla. Era l'unico modo per risolvere questioni del genere.
Al calar della sera, Horst e i figli erano tornati a casa, con due piccoli fagotti di tela cerata. «Tutto qui?» chiese Elain. Horst fece un brusco cenno di assenso, poi posò i fagotti sul tavolo della cucina e li aprì, rivelando quattro martelli, tre tenaglie, una morsa, un mantice di media grandezza e un'incudine da tre libbre.
Mentre tutti e cinque cenavano intorno al tavolo,
Albriech e Baldor raccontarono di aver visto parecchie persone fare preparativi di nascosto. Roran ascoltava con attenzione, cercando di tenere a mente chi aveva prestato i muli a chi, chi non dava cenni di voler partire, e chi poteva avere bisogno di aiuto.
«Il problema più grosso» disse Baldor «è il cibo. Non possiamo trasportarne molto, e sarà difficile cacciare sulla Grande Dorsale per sfamare due o trecento persone.»
«Mmm.» Horst agitò l'indice, la bocca piena di fagioli, poi deglutì. «No, cacciare non basterà. Dovremo portare il bestiame con noi. Nell'insieme, abbiamo abbastanza pecore e capre da sfamarci tutti per un mese e più.» Roran alzò il coltello. «E i lupi?»
«Mi preoccupa di più riuscire a impedire alle bestie di perdersi per la foresta» disse Horst. «Tenerle a bada sarà un'impresa.»
Roran passò il giorno dopo ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, parlando poco e mostrando a tutti che lavorava per il bene del villaggio. A tarda notte, crollò a letto sfinito, ma pieno di speranza.
I raggi dell'alba penetrarono nei sogni di Roran e lo destarono con un senso di aspettativa incombente. Si alzò e scese in punta di piedi; uscì sotto il portico a contemplare le montagne avvolte dalla nebbia, assorto nel silenzio del mattino. Il suo fiato formava nuvolette nell'aria, ma lui aveva caldo, perché il suo cuore trepidava di timore e aspettative. Dopo una magra colazione, Horst portò i cavalli davanti alla casa, dove Roran aiutò Albriech e Baldor a caricarli di bisacce e altri pacchi di provviste. Poi Roran s'infilò lo zaino, facendo una smorfia quando lo spallaccio strusciò sulla ferita.
Horst chiuse la porta di casa. Indugiò qualche istante con la mano sul pomello d'acciaio, poi prese la mano di Elain e disse: «Andiamo.»
Mentre camminavano per Carvahall, Roran vide meste famiglie radunarsi davanti alle case con i loro bagagli e le greggi belanti. Vide pecore e cani con fagotti legati sui dorsi, bambini in lacrime seduti sui muli, e slitte improvvisate legate dietro ai cavalli con gabbie di galline svolazzanti appese ai lati. Vide il frutto del suo successo, e non sapeva se ridere o piangere.
Si fermarono ai confini settentrionali di Carvahall, aspettando di vedere chi si sarebbe unito a loro. Passò un minuto, poi arrivò Brigit, accompagnata da Nolfavrell e dai fratellini più piccoli. Brigit salutò Horst ed Elain, e si fermò al loro fianco.
Ridley e la sua famiglia arrivarono dall'esterno della cinta di alberi, guidando un centinaio di pecore dal versante est della Valle Palancar. «Ho pensato che era meglio portarle via da Carvahall» gridò Ridley per farsi sentire nonostante i lamenti del gregge.
«Hai pensato bene!» rispose Horst.
Poi arrivarono Delwin, Lenna e i loro cinque figli; Orval con la famiglia; Loring e i figli; Calitha e Thane, che rivolse a Roran un ampio sorriso; e infine il clan di Kiselt. Le donne rimaste vedove di recente, come Nolla, si strinsero intorno a Brigit. Ancor prima che il sole arrivasse a dissipare la nebbia sulle cime dei monti, la maggior parte del villaggio si era radunata presso lo sbarramento di alberi. Ma non tutti.
Morn, Tara e molti altri non si vedevano ancora, e quando arrivò Ivor, era senza bagagli. «Tu resti» osservò Roran, aggirando uno sparuto gruppo di capre che Gertrude stava cercando di trattenere.
«Sì» disse Ivor, pronunciando il monosillabo in tono mesto. Rabbrividì, si strinse le braccia intorno al corpo e rivolse lo sguardo al sole nascente, alzando il viso per coglierne i primi caldi raggi. «Svart non ne vuole sapere di partire. È testardo peggio di un mulo e si rifiuta di salire sulla Grande Dorsale. Qualcuno deve badare a lui, e io non ho figli, perciò...» Si strinse nelle spalle. «Dubito comunque che avrei mai lasciato la fattoria.»
«Cosa farete quando arriveranno i soldati?»
«Gli daremo una lezione che non si scorderanno.»
Roran emise una risata rauca e batte la mano sul braccio di Ivor, facendo del suo meglio per ignorare il destino che entrambi sapevano attendere chi sarebbe rimasto.
Ethlbert, un allampanato uomo di mezza età, marciò verso l'adunanza e gridò: «Siete un branco di idioti!» Con un cupo mormorio, la gente si volse a guardare il suo accusatore. «Sono rimasto zitto davanti a questa frenesia che vi è presa, ma ora vi dico che non seguirò quel pazzo ciarlatano! Se non vi foste fatti accecare delle sue parole, vedreste che vi sta portando verso la rovina! Ebbene, io non partirò! Correrò il rischio, e passerò oltre i soldati di nascosto per rifugiarmi a Therinsford. Almeno quelli sono come noi, non i barbari che troverete nel Surda!» Sputò in terra, poi girò sui tacchi e si allontanò a grandi passi.
Temendo che Ethlbert potesse convincere altri a rinunciare, Roran scrutò la folla e rimase sollevato nel vedere soltanto volti imbronciati e teste scrollate. A ogni buon conto, non voleva indugiare oltre e dare tempo ai compaesani di cambiare idea. Sotto voce, chiese a Horst: «Quanto ancora dobbiamo aspettare?»
«Albriech, tu e Baldor correte a vedere se viene qualcun altro. Altrimenti, partiamo.» I fratelli si allontanarono di corsa in direzioni opposte.
Mezz'ora dopo, Baldor tornò con Fisk, Isold e il cavallo preso in prestito. Lasciando il fianco del marito, Isold corse verso Horst, facendosi largo a spintoni, ignara del fatto che i capelli le erano sfuggiti dalla crocchia e svolazzavano da tutte le parti. Si fermò, ansimando per riprendere fiato. «Mi dispiace tanto per il ritardo, ma Fisk non si decideva a chiudere bottega. Non sapeva quali pialle o scalpelli portarsi.» Proruppe in una risatina acuta che aveva dell'isterico. «Era come vedere un gatto circondato da topolini che non sa decidere quale acchiappare per primo. Quello, no, quell'altro.»
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