Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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«Ti piace dunque intraprendere strade pericolose?»
«Mi piacciono le sfide.»
«Quindi provi il desiderio di cimentarti nelle avversità per mettere alla prova le tue capacità.»
«Mi piace vincere le sfide, ma ho affrontato abbastanza traversie da sapere che è sciocco rendere le cose più difficili di quanto già non siano. È quanto posso fare per sopravvivere.»
«Eppure hai scelto di inseguire i Ra'zac, quando sarebbe stato più facile restare nella Valle Palancar. E sei venuto qui.» «Era la cosa giusta da fare... maestro.»
Per lunghi minuti regnò il silenzio. Eragon provò a immaginare che cosa stesse pensando l'elfo, ma non riusciva a decifrare alcuna emozione sulla maschera impassibile del suo volto. Alla fine, Oromis si riscosse. «Per caso, ti hanno dato un monile di qualche tipo a Tarnag? Un gioiello, un ornamento, magari una moneta?»
«Sì.» Eragon s'infilò la mano nella tunica ed estrasse la catena con il piccolo martello d'argento. «L'ha fatto Gannel per me su ordine di Rothgar, per impedire a chiunque di divinare me o Saphira. Temevano che Galbatorix potesse scoprire il mio volto... Come lo sapevi?»
«Perché» disse Oromis «non riuscivo più a percepirti.»
«Qualcuno ha tentato di divinarmi vicino a Silthrim una settimana fa. Eri tu?»
Oromis fece no con la testa. «Dopo la prima volta che ti ho divinato con Arya, non ho più avuto bisogno di ricorrere a un metodo così incivile per trovarti. Potevo toccare la tua mente con la mia, come ho fatto quando eri ferito nel Farthen Dùr.» Prendendo l'amuleto, mormorò alcune frasi nell'antica lingua, poi glielo restituì. «Non contiene altri incantesimi occultati. Tienilo sempre con te; è un dono prezioso.» Unì i polpastrelli, le unghie chiare e rotonde come squame di pesce, e contemplò l'orizzonte. «Perché sei qui, Eragon?»
«Per completare il mio addestramento.»
«E cosa pensi che voglia dire?»
Eragon si agitò, a disagio. «Imparare altro sulla magia e sulle tecniche di combattimento. Brom non ha potuto finire di insegnarmi tutto quel che sapeva.»
«La magia, l'arte della scherma, e tutte le altre tecniche sono inutili se non sai come e quando applicarle. Questo ti insegnerò. Tuttavia, come ha dimostrato Galbatorix, il potere senza rigore morale è la forza più pericolosa del mondo. Il mio principale compito, pertanto, sarà aiutare voi, Eragon e Saphira, a comprendere quali principi debbano guidarvi, perché non facciate le scelte giuste per le ragioni sbagliate. Dovrete apprendere di più su voi stessi, chi siete e che cosa siete in grado di fare. Ecco perché siete qui.»
Quando cominciamo? domandò Saphira.
Oromis fece per rispondere, quando il suo corpo s'irrigidì e il boccale gli cadde di mano. Divenne rosso in volto e le sue dita si trasformarono in artigli che stringevano la veste come lappole. Il cambiamento fu spaventoso e repentino, ma Eragon non ebbe nemmeno il tempo di muovere un dito che l'elfo si era già calmato, anche se il suo corpo tradiva un'estrema debolezza.
Preoccupato, Eragon si arrischiò a chiedere: «Stai bene?»
Oromis sollevò un angolo della bocca in un sorriso ironico. «Meno di quanto vorrei. Noi elfi ci illudiamo di essere immortali, ma nemmeno noi possiamo sfuggire a certe malattie della carne. Con la nostra magia possiamo soltanto rallentarle. No, non temere... non è contagiosa, ma non posso guarirmi.» Sospirò. «Ho passato decenni a evocare su di me piccoli, deboli incantesimi che, strato dopo strato, raddoppiano l'effetto dei sortilegi che ormai sono fuori dalla mia portata. Mi sono protetto con essi per poter vivere abbastanza a lungo da vedere la nascita dell'ultimo drago e per contribuire alla resurrezione dei Cavalieri dalle rovine dei nostri errori.»
«Per quanto...»
Oromis inarcò un sopracciglio obliquo. «Per quanto vivrò ancora? Abbiamo tempo, ma per noi è poco e prezioso, specie se i Varden decidono di chiamarti in loro aiuto. Di conseguenza, per rispondere alla tua domanda, Saphira, cominceremo la vostra istruzione seduta stante, e ci alleneremo più in fretta di quanto abbia mai fatto o farà qualsiasi altro Cavaliere, perché sarò costretto a condensare secoli di conoscenze in mesi e settimane.»
«Tu sai» disse Eragon, lottando per vincere l'imbarazzo e la vergogna che gli avvampavano le guance «della mia... della mia infermità.» Pronunciò l'ultima parola a fatica, odiandola con tutto se stesso. «Sono storpio come te.» Negli occhi di Oromis balenò un lampo di compassione, ma la sua voce suonò severa. «Eragon, tu sei storpio soltanto se ti consideri tale. Capisco come ti senti, ma devi restare ottimista, perché un atteggiamento negativo è più limitante di qualunque ferita fisica. Ti parlo per esperienza personale. L'autocommiserazione non aiuterà né te né Saphira. Io e gli altri stregoni studieremo la tua menomazione per vedere di trovare un modo di alleviarla, ma nel frattempo, il tuo addestramento procederà come se niente fosse.»
Eragon si sentì torcere le viscere, e assaggiò il sapore della bile nel capire che cosa avrebbe significato per lui. Oromis non può davvero volere che io sopporti ancora quel tormento! «Il dolore è intollerabile» balbettò, in preda al panico. «Mi ucciderà. Io...»
«No, Eragon, non ti ucciderà. Conosco bene la tua sofferenza. Tuttavia abbiamo entrambi un dovere da compiere, tu nei riguardi dei Varden e io nei tuoi. Non possiamo eluderlo per paura del semplice dolore. La posta in gioco è troppo alta, e non possiamo permetterci di fallire.» Eragon non potè far altro che scuotere il capo, mentre il panico minacciava di sopraffarlo. Cercò di negare le parole di Oromis, ma la verità era adamantina. «Eragon. Devi accettare questo onere in piena coscienza. Non hai niente o nessuno per cui valga la pena di sacrificarsi?»
Il suo primo pensiero fu per Saphira, ma non faceva questo per lei. E non per Nasuada. E nemmeno per Arya. Che cosa lo spingeva, allora? Quando aveva giurato fedeltà a Nasuada, lo aveva fatto per il bene di Roran e dei popoli sottomessi all'Impero. Ma valevano tanto da indurlo a sottoporsi a quel supplizio? Sì, decise. Sì, perché io sono l'unico che possa aiutarli, e perché non sarò mai libero dall'ombra di Galbatorix finché non lo saranno anche loro. E perché è il mio unico scopo nella vita. Che cos'altro potrei fare? Rabbrividì nel pronunciare la frase solenne: «Accetto in nome di coloro per cui combatto: i popoli di Alagaésia, di tutte le razze, che hanno subito le brutalità di Galbatorix. Non m'importa del dolore. Giuro che mi allenerò più duramente di qualunque allievo tu abbia mai avuto.» Oromis annuì con aria grave. «Non chiedo niente di meno.» Guardò Glaedr per un momento, poi disse: «Alzati e togliti la tunica. Fammi vedere di cosa sei fatto.»
Aspetta, disse Saphira. Maestro, Brom sapeva della tua esistenza qui? Eragon si fermò, colpito da quella possibilità. «Naturalmente» disse Oromis. «Da ragazzo fu mio allievo a Ilirea. Sono lieto che gli abbiate dato una degna sepoltura, perché ha avuto una vita difficile e sono pochi coloro che si sono dimostrati gentili con lui. Spero che abbia trovato la pace prima di entrare nel vuoto.»
Eragon aggrottò la fronte. «Conoscevi anche Morzan?»
«Fu mio apprendista prima di Brom.»
«E Galbatorix?»
«Io fui uno degli Anziani che gli negarono un altro drago dopo che il suo primo rimase ucciso, ma no, non ebbi mai la sventura di insegnargli. Si incaricò personalmente di rintracciare e uccidere tutti i suoi mentori.» Eragon smaniava dalla voglia di fare altre domande, ma sapeva che era meglio aspettare, così si alzò e si slacciò il collo della tunica. A quanto pare, disse a Saphira, i segreti di Brom non finiscono mai di sorprenderei. Rabbrividì nel sentire l'aria fredda sulla pelle, poi drizzò le spalle e gonfiò il petto.
Oromis gli girò intorno, fermandosi con un'esclamazione attonita davanti alla cicatrice che gli solcava la schiena. «Perché Arya o qualcuno dei guaritori dei Varden non ti ha rimosso questo marchio? Non dovresti portarlo.» «Arya lo propose, ma...» Eragon s'interruppe, incapace di esprimere ciò che sentiva. Alla fine, disse semplicemente: «Fa parte di me, adesso, come la cicatrice di Murtagh era parte di lui.»
«La cicatrice di Murtagh?»
«Murtagh aveva un marchio simile. Gli fu inflitto dal padre, Morzan, che gli scagliò addosso Zar'roc quando era ancora un bambino.»
Oromis lo guardò serio per lunghi istanti, prima di annuire e ricominciare a camminare. «I tuoi muscoli sono abbastanza sviluppati, e non pendi da un fianco come la maggior parte degli spadaccini. Sei ambidestro?»
«Non proprio, ma ho dovuto imparare a combattere con la sinistra quando mi sono rotto il polso destro a Teirm.» «Bene. Questo ci farà risparmiare del tempo. Unisci le mani dietro la schiena e sollevale il più in alto possibile.» Eragon obbedì, ma la postura gli faceva dolere le spalle e a stento riusciva a far incontrare le mani. «Ora fletti il busto in avanti, tenendo le ginocchia dritte, e prova a toccare il terreno.» Questo fu ancora più difficile per Eragon, che si ritrovò curvo come un gobbo, con le braccia penzoloni oltre la testa, mentre i tendini delle ginocchia gli bruciavano da morire. Le sue dita erano ancora a un palmo dal suolo. «Se non altro ti sai allungare senza farti male. Non avrei mai sperato tanto. Sei in grado di eseguire un certo numero di esercizi di flessibilità senza strapparti. Bene.»
Poi Oromis si rivolse a Saphira. «Vorrei conoscere anche le tue capacità, dragonessa.» Le impartì una serie di comandi complessi che coinvolsero ogni muscolo della sua sinuosa lunghezza, per culminare in una sequenza di acrobazìe aeree quali Eragon non aveva mai visto. Soltanto un paio di cose superavano le sue capacità, come una rovesciata aerea con avvitamento.
Quando atterrò, fu Glaedr che disse: Ho paura che abbiamo viziato i Cavalieri. Se i nostri discendenti fossero stati costretti a sopravvivere allo stato selvatico, come lo sei stata tu o come lo furono i nostri antenati, forse allora avrebbero posseduto le tue capacità.
«No» ribatte Oromis. «Se anche Saphira fosse stata allevata a Vroengard seguendo i metodi tradizionali, sarebbe stata in ogni caso una volatrice straordinaria. Ho visto di rado un drago così naturalmente adatto al cielo.» Saphira battè le palpebre, poi arruffò le ali e si dedicò alla pulizia di un'unghia in maniera tale da nascondersi il muso. «Avrai modo di migliorare, come tutti noi, ma poco, molto poco.» L'elfo si sedette, con la schiena perfettamente diritta. Per le successive cinque ore, secondo la stima di Eragon, Oromis indagò ogni aspetto delle cognizioni di Eragon e di Saphira, dalla botanica alla lavorazione del legno, dalla metallurgia alla medicina, soffermandosi in particolar modo sulle loro conoscenze di storia e dell'antica lingua. L'interrogazione confortò Eragon, perché gli ricordava come Brom era solito esaminarlo durante i loro lunghi spostamenti verso Teirm e Dras-Leona.
Quando si interruppero per il pranzo, Oromis invitò Eragon in casa, lasciando i due draghi da soli. L'alloggio dell'elfo era spoglio, a parte gli oggetti necessari all'alimentazione, all'igiene e alla vita intellettuale. Due pareti erano disseminate di nicchie che ospitavano centinaia di rotoli di pergamena. Vicino al tavolo erano appesi un fodero dorato - dello stesso colore delle squame di Glaedr - e una spada dalla lama color bronzo iridescente.
Sul riquadro interno della porta, incassato nel cuore del legno, c'era un pannello alto una spanna e largo due, che raffigurava una splendida città ricca di torri, addossata a una scarpata e illuminata dalla luce rossa di una luna nascente. La faccia butterata della luna era tagliata a metà dall'orizzonte e sembrava poggiare sul suolo come una cupola screziata grande quanto una montagna. L'immagine era così nitida e ricca di dettagli che sulle prime Eragon la scambiò per una finestra magica; fu solo quando si accorse che l'immagine era assolutamente statica che riuscì ad accettarla come opera d'arte.
«Che luogo è?» domandò.
I lineamenti affilati di Oromis si contrassero per un istante. «Farai bene a mandare a memoria quel panorama, Eragon, poiché in esso risiede l'origine della tua miseria. Quella che vedi era un tempo la nostra città, Ilirea. Fu bruciata e abbandonata durante la Du Fyrn Skulblaka, e divenne la capitale del regno di Broddring, mentre adesso è la città nera di Urù'baen. Ho fatto questo fairth la notte in cui io e gli altri fummo costretti a fuggire prima dell'arrivo di Galbatorix.» «Tu hai dipinto questo... fairth?»
«No, niente del genere. Un fairth è un'immagine fissata per magia su una lastra di ardesia levigata, preparata in anticipo con strati di pigmenti. Il panorama su quella porta raffigura esattamente com'era Ilirea nel momento in cui pronunciai l'incantesimo.»
«E» disse Eragon, incapace di arrestare il flusso di domande «cos'era il regno di Broddring?»
Oromis sgranò gli occhi, allibito. «Non lo sai?» Eragon fece di no con la testa. «Come fai a non saperlo? Certo, considerando come hai vissuto fino a qualche tempo fa e la paura che Galbatorix incute nella tua gente, posso ben capire che tu sia stato cresciuto nelle tenebre dell'ignoranza della tua cultura. Ma non posso credere che Brom sia stato tanto negligente da trascurare argomenti che persino gli elfi o i nani più giovani conoscono. I bambini dei Varden saprebbero dirmi molte più cose sul passato.»
«Brom era più preoccupato di salvarmi la vita che di insegnarmi cose su gente ormai morta» ribattè Eragon. Dopo qualche istante di profondo silenzio, Oromis disse: «Perdonami. Non era mia intenzione dubitare del giudizio di Brom. Le mie parole sono state dettate dall'impazienza; abbiamo così poco tempo, e più cose nuove devi imparare, meno occasioni avremo di approfondire le altre durante la tua permanenza qui.» Aprì una serie di credenze, celate nella parete curva, e prese alcuni panini dolci e una ciotola di frutta. Posò il cibo sul tavolo e fece una breve pausa a occhi chiusi prima di cominciare a mangiare. «Il regno di Broddring era il paese degli umani prima della caduta dei Cavalieri. Dopo aver ucciso Vreal, Galbatorix volò a Ilirea con i Rinnegati e depose il re Angrenost, impadronendosi del trono e dei titoli. Il regno di Broddring formò quindi il nucleo delle conquiste di Galbatorix. In seguito, annesse Vroengard e le altre terre a est e a sud, creando l'impero che tu conosci. Tecnicamente, il regno di Broddring ancora esiste, anche se, a questo punto, dubito che rappresenti più di un nome sui decreti reali.»
Temendo di infastidire l'elfo con altre domande, Eragon si concentrò sul cibo. Il suo volto però dovette tradirlo, perché Oromis disse: «Mi ricordi Brom quando lo scelsi come mio apprendista. Era più giovane di te, aveva appena dieci anni, ma la sua curiosità era altrettanto grande. Per un anno non sentii altro da lui se non come, cosa, quando, e soprattutto, perché. Non trattenerti dal chiedere quel che il tuo cuore ti suggerisce.»
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