Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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Giusto.
Mentre preparava Zar'roc, le sue mani tremavano di paura. Invece di gettarsi a capofitto nel duello, combattè contro Vanir a distanza, schivando, scartando di lato e facendo il possibile per evitare un'altra crisi. Malgrado le manovre diversive di Eragon, Vanir lo toccò quattro volte in rapida successione: sul torace, su uno stinco e su tutte e due le spalle.
L'iniziale espressione di impassibile stoicismo di Vanir si trasformò ben presto in manifesto disprezzo. Con un movimento dei piedi simile a un passo di danza, fece scivolare la sua lama sulla lunghezza di Zar'roc, poi la fece roteare torcendo il polso di Eragon. Eragon preferì lasciare la presa piuttosto che resistere alla forza superiore dell'elfo. Vanir calò la sua spada sul collo di Eragon e disse: «Morto.» Liberandosi dalla lama con una scrollata di spalle, Eragon si chinò a raccogliere Zar'roc. «Sei morto» ripetè Vanir. «Come pensi di sconfiggere Galbatorix in questo modo? Mi aspettavo di meglio, anche se da un umano debosciato.»
«Perché non vai tu a combattere Galbatorix, invece di nasconderti nella Du Weldenvarden?»
Vanir s'irrigidì, oltraggiato. «Perché» rispose, gelido e sprezzante, «non sono un Cavaliere. Se lo fossi, non sarei un codardo come te.»
Nessuno si mosse o parlò sul campo.
Con la schiena rivolta a Vanir, Eragon raccolse Zar'roc e alzò la testa al cielo. Non sa niente. Questa è soltanto un'altra prova da superare.
«Codardo, ho detto. Il tuo sangue è annacquato come nel resto della tua razza. Credo che Saphira sia stata sviata dalle astuzie di Galbatorix e abbia fatto la scelta sbagliata per il suo Cavaliere.» Gli altri elfi trasalirono alle parole di Vanir, e borbottarono fra loro per quella gravissima infrazione di etichetta. Eragon digrignò i denti. Poteva sopportare gli insulti diretti a lui, ma non a Saphira. La dragonessa si stava già muovendo quando le frustrazioni, la paura e la rabbia represse esplosero dentro di lui. Eragon si volse di scatto, fendendo l'aria con la punta di Zar'roc. Il colpo avrebbe ucciso Vanir, se questi non lo avesse parato all'ultimo istante. Parve sorpreso dalla ferocia dell'attacco. Senza risparmiarsi, Eragon spinse Vanir al centro del campo, menando affondi e fendenti come un ossesso, deciso a ferire l'elfo a ogni costo. Colpì il fianco di Vanir abbastanza da fargli uscire il sangue, nonostante la lama smussata di Zar'roc.
In quel preciso istante, la schiena di Eragon si spezzò in un'esplosione di dolore che lui sperimentò con tutti e cinque i sensi: una scrosciante cascata che gli assordò le orecchie; un sapore metallico che gli ricoprì la lingua; un odore acido e pungente che gli riempì le narici, acre come l'aceto; una galassia di colori pulsanti; e soprattutto la sensazione che Durza gli avesse appena squarciato la schiena.
Vide Vanir torreggiare su di lui con un sorriso di scherno. Un istante prima di sprofondare nel buio, pensò che Vanir era molto giovane.
Ripresosi dall'attacco, Eragon si asciugò il sangue dalla bocca con la mano e lo mostrò a Vanir, dicendo: «Ti sembra abbastanza annacquato?» Vanir non si degnò di rispondere, ma rinfoderò la spada e fece per allontanarsi. «Dove credi di andare?» lo chiamò Eragon. «Non abbiamo ancora finito, tu e io.»
«Non sei in condizioni di duellare» sbuffò l'elfo.
«Mettimi alla prova.» Eragon poteva essere inferiore agli elfi, ma si rifiutava di dar loro la soddisfazione di confermare le loro scarse aspettative su di lui. Si sarebbe guadagnato il loro rispetto con la perseveranza, se non altro. Insistette per completare l'ora di allenamento che Oromis gli aveva assegnato, poi Saphira marciò minacciosa verso Vanir e lo toccò sul petto con la punta di un artiglio d'avorio. Morto, disse. Vanir impallidì. Gli altri elfi si scostarono da lui.
Una volta in aria, Saphira disse: Oromis aveva ragione.
Su cosa?
Che ti saresti impegnato al massimo con un degno avversario.
Giunti al capanno di Oromis, la giornata si svolse come al solito: Saphira accompagnò Glaedr per la sua lezione, mentre Eragon rimase con Oromis.
Eragon rimase sgomento quando Oromis pretese che eseguisse la Rimgar dopo l'estenuante esercizio cui era stato sottoposto. Ci volle tutto il suo coraggio per obbedire. La sua apprensione si rivelò inutile, poiché la Danza del Serpente e della Gru era troppo delicata per fargli male.
Inoltre la meditazione nella conca isolata gli fornì la prima occasione della giornata per mettere ordine nei propri pensieri e riflettere sulla domanda che Oromis gli aveva posto.
Nel frattempo osservò le formiche rosse invadere un piccolo formicaio rivàle, travolgendo i suoi abitanti e depredandoli delle loro risorse. Alla fine del massacro, soltanto un pugno di formiche avversarie erano rimaste in vita, sole e smarrite nella vasta e ostile landa di aghi di pino.
Come i draghi in Alagaèsia, pensò Eragon. Il suo legame con le formiche si dissolse mentre rifletteva sull'infelice destino dei draghi; e a poco a poco gli si rivelò la risposta al quesito, una risposta che riteneva più che valida, una risposta in cui sentiva di credere profondamente.
Concluse la seduta di meditazione e tornò al capanno. Questa volta Oromis parve piuttosto soddisfatto di quello che Eragon era riuscito a compiere. Mentre Oromis serviva il pranzo, Eragon disse: «So perché è giusto combattere Galbatorix, anche se potrebbe significare la morte di migliaia di persone.»
«Davvero?» Oromis si sedette. «Dimmi pure.»
«Perché Galbatorix ha causato più sofferenze negli ultimi cento anni di quante ne potremmo mai vedere in una sola generazione. E diversamente da un qualsiasi tiranno, non possiamo aspettare che muoia. Potrebbe governare per secoli, o millenni, continuando a perseguitare e tormentare il popolo, se non lo fermiamo. Se diventasse abbastanza forte, potrebbe marciare sui nani, o persino qui nella Du Weldenvarden, e uccidere o sottomettere entrambe le razze. E...» Eragon strofinò la base del palmo contro il bordo del tavolo, «... perché sottrargli le due uova che possiede è l'unico modo per salvare i draghi.»
Il bollitore cominciò a fischiare, sempre più stridente, tanto che a Eragon ronzavano le orecchie. Oromis si alzò per togliere il bollitore dal fuoco e versò l'acqua per l'infuso di more. Le rughe intorno ai suoi occhi si addolcirono. «Adesso» disse «hai capìto.»
«Ho capìto, ma non mi da alcuna gioia.»
«Ed è giusto che sia così. Ma adesso avremo la garanzia che non ti ritirerai dalla lotta, quando assisterai alle ingiustizie e alle atrocità che i Varden inevitabilmente commetteranno. Non possiamo permetterci che ti lacerino i dubbi nel momento in cui la tua forza e la tua concentrazione sono più necessari.» Oromis appoggiò i gomiti sul tavolo e giunse i polpastrelli, con lo sguardo fisso sullo specchio ;' scuro del suo infuso, contemplando chissà cosa nei suoi tenebrosi riflessi. «Tu credi che Galbatorix sia malvagio?» •
«Assolutamente!» «E credi che lui si consideri malvagio?» «No, ne dubito.»
Oromis tamburellò le dita fra loro. «Quindi credi anche che Durza fosse malvagio.»
Gli tornarono in mente i frammenti di memorie che aveva intravvisto nella mente di Durza mentre combattevano a Tronjheim, ricordandogli come il giovane Spettro Carsaib, all'epoca - era stato ridotto in schiavitù dagli spiriti che aveva evocato per vendicare la morte del suo mentore, Haeg. «Non era malvagio lui, ma gli spiriti che lo controllavano.»
«E gli Urgali?» continuò Oromis, bevendo un sorso di té. «Sono malvagi?»
Le nocche di Eragon sbiancarono quando strinse il cucchiaio. «Quando penso alla morte, vedo il muso di un Urgali. Sono peggio delle bestie. Le cose che hanno fatto...» Scrollò il capo, incapace di proseguire. «Eragon, che opinione ti faresti degli umani se li dovessi giudicare soltanto dalle azioni dei guerrieri sul campo di battaglia?» «Non è...» Trasse un profondo respiro. «È diverso. Gli Urgali meritano di essere spazzati via, fino all'ultimo.» «Anche le donne e i bambini? Quelli che non ti hanno mai fatto del male e mai te ne farebbero? Gli innocenti? Li stermineresti, condannando l'intera razza all'estinzione?»
«Loro non ci risparmierebbero mai, se ne avessero l'occasione.»
«Eragon!» esclamò Oromis, in tono aspro. «Non voglio mai più sentirti usare una simile scusa, che siccome qualcuno ha fatto o farebbe una cosa, tu puoi fare altrettanto. È spregevole, meschino, indizio di una mente inferiore. Sono stato chiaro?»
«Sì, maestro.»
L'elfo si portò la tazza alle labbra e bevve, continuando a tenere lo sguardo fisso su Eragon. «Cosa sai degli Urgali in realtà?»
«Conosco le loro forze e le loro debolezze, e so come ucciderli. So quanto mi basta di sapere.»
«Perché odiano e combattono gli umani, secondo te? Cosa sai della loro storia e delle loro leggende, o della loro vita quotidiana?»
«Che importanza ha?»
Oromis sospirò. «Ricorda solo» disse in tono sommesso «che a un certo punto, i tuoi nemici potrebbero diventare tuoi alleati. Così va la vita.»
Eragon resistette all'impulso di protestare. Rimestò l'infuso nella tazza, facendo accelerare il liquido fino a formare un vortice scuro con una macchia di schiuma bianca sul fondo. «È per questo che Galbatorix ha arruolato gli Urgali?» «Non è l'esempio che avrei scelto io, ma sì.»
«Mi sembra strano che si fidi di loro. In fin dei conti furono gli Urgali a uccidergli il drago. Guarda che cosa ha fatto a noi, ai Cavalieri, e non eravamo nemmeno responsabili della sua disgrazia.»
«Ah» disse Oromis, «Galbatorix sarà anche un pazzo, ma resta pur sempre astuto come una volpe. Immagino che volesse usare gli Urgali per distruggere i Varden e i nani... e altri ancora, se avesse trionfato nel Farthen Dùr... per sbarazzarsi di due nemici e al contempo indebolire gli Urgali per poi liberarsene in un secondo momento.» Lo studio dell'antica lingua si portò via tutto il pomeriggio; alla fine ripresero a esercitarsi con la magia. La maggior parte delle lezioni di Oromis vertevano sulla maniera più adeguata di controllare le varie forme di energia, come la luce, il calore, l'elettricità e persino la gravità. Spiegò che, dato che questi elementi consumavano energia più in fretta di qualsiasi incantesimo, era più prudente trovarli già in natura, per poi plasmarli con la negromanzia, piuttosto che tentare di crearli dal nulla.
Abbandonando l'argomento, Oromis chiese: «Come uccideresti
con la magia?»
«L'ho già fatto in molti modi» rispose Eragon. «Ho cacciato con un sasso, spostandolo e prendendo la mira con la magia. Ho usato la parola jierda per spezzare le gambe e il collo degli Urgali. Una volta, con thrysta, ho fermato il cuore di un uomo.»
«Ci sono metodi più efficaci» gli rivelò Oromis. «Cosa occorre per uccidere un uomo, Eragon? Una spada nel petto? Un collo rotto? Un'emorragia? Sappi che basta spezzare una singola arteria nel cervello, o recidere determinati nervi. Con il giusto incantesimo, potresti annientare un esercito.»
«Avrei dovuto pensarci nel Farthen Dùr» disse Eragon, arrabbiato con se stesso. Non soltanto nel Farthen Dùr, ma anche quando i Kull ci inseguivano nel Deserto di Hadarac. «Perché Brom non me l'ha detto?»
«Perché non si aspettava che dovessi affrontare un esercito nel giro di pochi mesi; non è una cosa che si insegna a un Cavaliere ancora inesperto.»
«Ma se è così facile uccidere la gente, perché noi, o lo stesso Galbatorix, ci affanniamo a radunare un esercito?» «Per dirla in una parola, è tattica. Gli stregoni sono vulnerabili agli attacchi fisici quando sono impegnati nelle loro schermaglie mentali. Perciò hanno bisogno di soldati che li proteggano. E i soldati devono essere protetti, almeno in parte, dagli attacchi magici, altrimenti verrebbero sterminati in pochi minuti. Questa duplice limitazione comporta che quando due eserciti si affrontano, i loro rispettivi maghi si sparpagliano fra le truppe, vicini alla prima linea, ma non abbastanza da rischiare la vita. Gli stregoni di entrambi i fronti aprono la mente e tentando di percepire se qualcuno sta usando o sta per usare la magia. Poiché i loro nemici potrebbero trovarsi al di là della loro portata, gli stregoni evocano incantesimi di difesa intorno a se stessi e ai propri soldati per fermare o rallentare attacchi a lunga gittata, come un sasso scagliato contro di loro da un miglio di distanza.»
«Ma un solo uomo non può difendere un intero esercito» obiettò Eragon.
«Da solo no, ma un numero sufficiente di stregoni è in grado di fornire una ragionevole dose di protezione. Il maggior pericolo in questo genere di conflitto è che uno stregone astuto può escogitare un attacco che possa superare le tue difese senza abbatterle. Solo questo basta a decidere le sorti di una battaglia.
«Inoltre» proseguì Oromis «devi tenere a mente che l'abilità nell'uso della magia è straordinariamente rara fra le razze. Noi elfi non facciamo eccezione, anche se vantiamo più maghi di tutti gli altri, grazie ai giuramenti con i quali ci siamo vincolati secoli fa. La maggior parte di coloro che hanno il dono della magia non hanno però il talento per usarla: faticano perfino a guarire un livido.»
Eragon annuì. Aveva incontrato stregoni simili fra i Varden. «Ma la quantità di energia necessaria a compiere qualcosa resta sempre la stessa.»
«Certo, ma rispetto a te o a me, gli stregoni mediocri hanno difficoltà a percepire il flusso dell'energia e immergersi in esso. Sono pochi i maghi abbastanza potenti da rappresentare una minaccia per un esercito. E quelli che lo sono, di solito passano la maggior parte della battaglia a eludere, rintracciare o combattere i propri avversari, una circostanza fortunata dal punto di vista dei soldati, che altrimenti verrebbero uccisi subito.»
Sconcertato, Eragon disse: «I Varden non hanno molti stregoni.»
«È una delle ragioni per cui tu sei così importante.»
Passò un momento, mentre Eragon rifletteva sulle parole di Oromis. «Questi incantesimi di difesa ti sottraggono energia soltanto quando sono attivati?»
«Sì.»
«Allora, avendo tempo a disposizione, si potrebbero accumulare infiniti strati di protezione. Uno potrebbe rendersi. ..» si sforzò di trovare la parola adatta nell'antica lingua, «... invulnerabile?... refrattario?... refrattario a qualsiasi attacco, fisico o mentale.»
«Gli incantesimi di difesa» disse Oromis «si basano sulla forza del proprio corpo. Non è importante quanti riesci a evocarne; sarai in grado di bloccare un attacco soltanto finché il tuo corpo resisterà al dispendio di energia.» «Ma la forza di Galbatorix cresce di anno in anno... Com'è possibile?»
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