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Volodyk - Paolini2-Eldest

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Название:
Paolini2-Eldest
Автор
Издательство:
неизвестно
ISBN:
нет данных
Год:
неизвестен
Дата добавления:
5 октябрь 2019
Количество просмотров:
97
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Volodyk - Paolini2-Eldest

Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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Paolini2-Eldest читать онлайн бесплатно

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Il fairth ritraeva la testa e le spalle di Arya su uno sfondo nero e indistinto. Un raggio di luce la colpiva da destra, e lei guardava l'osservatore con occhi saggi; appariva non come era, ma come lui la pensava: misteriosa, esotica, la più bella donna che avesse mai visto. Ancora una volta era un fairth imperfetto, con troppe zone d'ombra, ma possedeva una tale intensità e una tale passione che turbò Eragon nel profondo. È così che la vedo? Chiunque fosse quella donna, era così saggia, così potente, così affascinante da consumare qualunque uomo di minore fermezza.

Da una grande distanza, sentì Saphira sussurrare: Sta' attento...

«Cos'hai fatto, Eragon?» gli chiese Oromis.

«Io... non lo so.» Eragon esitò quando Oromis tese la mano per prendere il fairth, riluttante a lasciare che gli altri esaminassero il suo lavoro, specie Arya. Dopo una lunga, terrificante pausa, Eragon aprì le dita dalla tavoletta e la lasciò a Oromis.

L'espressione dell'elfo si fece sempre più severa con il passare dei minuti, mentre esaminava il fairth. Poi guardò Eragon, che tremò sotto il peso del suo sguardo. Infine, senza dire una parola, Oromis passò la lastra ad Arya. I capelli le piovvero sul viso quando chinò il capo sulla tavoletta, ma Eragon vide i nervi e le vene gonfiarsi sulle sue mani nello stringere la lastra. Tremava nella sua stretta. «Be', cos'è?» chiese Orik.

Alzando il fairth sopra la testa, Arya lo scagliò sul terreno, fracassando il ritratto in mille pezzi. Poi raddrizzò le spalle e con grande dignità oltrepassò Eragon, percorse la radura e si allontanò nel cuore aggrovigliato della Du Weldenvarden.

Orik raccolse uno dei frammenti di ardesia. Era grigio. L'immagine era svanita quando la lastra si era infranta. Il nano si lisciò la barba. «In tutti gli anni che la conosco, Arya non si è mai arrabbiata così. Mai. Cos'hai fatto, Eragon?» Confuso, Eragon rispose: «Un suo ritratto.» Orik si accigliò, perplesso. «Un ritratto? E perché mai...» «Credo sia meglio che tu te ne vada, a questo punto» disse Oromis. «La lezione è finita, comunque. Torna domani, o il giorno dopo ancora, se vuoi farti un'idea migliore dei progressi di Eragon.»

Il nano guardò Eragon, poi annuì e si spazzolò il terriccio dalle mani. «Sì, credo che lo farò. Ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato, Oromis-elda. L'ho apprezzato molto.» Mentre tornava a Ellesméra, si rivolse a Eragon da sopra una spalla. «Sarò nella sala comune del Palazzo di Tialdari, se vorrai parlarmi.»

Quando Orik se ne fu andato, Oromis si sollevò l'orlo della tunica, s'inginocchiò e cominciò a raccogliere i pezzi della tavoletta. Eragon lo guardava, incapace di muoversi.

«Perché?» chiese nell'antica lingua.

«Può darsi» rispose Oromis «che Arya si sia spaventata.»

«Spaventata? Lei non si spaventa mai.» Nello stesso momento in cui pronunciava quelle parole, Eragon si accorse che non era del tutto vero. Arya era soltanto capace di nascondere la paura meglio degli altri. Cadde in ginocchio, prese un pezzo del fairth e lo mise nel palmo di Oromis. «Perché l'avrei spaventata?» chiese. «Ti prego, dimmelo.» Oromis si alzò e si avvicinò alla sponda del ruscello, dove sparse i frammenti di ardesia sui sassi, lasciando che la polvere grigia gli scorresse via dalle dita. «I fairth mostrano soltanto quello che tu vuoi che mostrino. È possibile mentire, con essi, creare una falsa immagine, ma per farlo è necessaria un'abilità che tu ancora non possiedi. Arya lo sa. E perciò sa anche che il tuo fairth era una fedele rappresentazione dei tuoi sentimenti per lei.»

«Ma perché questo dovrebbe spaventarla?»

Oromis sorrise mesto. «Perché rivela l'intensità della tua infatuazione per lei.» Congiunse le mani, portandosi gli indici alle labbra. «Analizziamo insieme la situazione, Eragon. Sebbene tu sia abbastanza grande da essere considerato un uomo fra la tua gente, ai nostri occhi tu non sei che un bambino.» Eragon si adombrò, ripensando alle parole di Saphira la sera prima. «Di norma, non metterei mai a confronto l'età di un umano con quella di un elfo, ma poiché tu condividi la nostra longevità, devi essere giudicato anche secondo i nostri criteri.

«E sei un Cavaliere. Noi contiamo su di te per sconfiggere Galbatorix; potrebbe essere una catastrofe per ogni abitante di Alagaésia se venissi distratto dai tuoi studi.

«Quindi» proseguì Oromis «come avrebbe dovuto reagire Arya davanti al tuo fairth? È più che evidente che tu la consideri in una luce romantica, ma, per quanto non abbia dubbi che Arya ti sia affezionata, una relazione fra voi due è impossibile, a causa della tua giovane età, della tua cultura, della tua razza e delle tue responsabilità. Il tuo interesse ha posto Arya in una posizione imbarazzante. Non osa affrontarti a cuore aperto, per paura di distrarti dal tuo addestramento. Ma come figlia della regina, non può nemmeno ignorarti e rischiare di offendere un Cavaliere, specie uno da cui tanto dipende... Anche se fossi un compagno adatto, Arya si asterrebbe dall'incoraggiarti, affinchè tu possa dedicare tutte le tue energie al compito che ti attende. Sacrificherebbe la propria felicità per il bene supremo.» La voce di Oromis si fece più profonda. «Devi capire, Eragon, che eliminare Galbatorix è più importante di qualsiasi persona. Nient'altro conta.» Fece una pausa, il suo sguardo si addolcì, poi aggiunse: «Date le circostanze, è così strano che Arya abbia paura che i tuoi sentimenti per lei possano mettere a repentaglio tutto quello per cui abbiamo lavorato?» Eragon scosse il capo. Si vergognava del proprio comportamento, che aveva messo a disagio Arya e si era dimostrato sventato e infantile. Avrei potuto evitare tutto questo pasticcio se mi fossi saputo controllare.

Sfiorandogli una spalla, Oromis lo guidò nel capanno. «Non pensare che io sia privo di compassione, Eragon. Prima o poi, nella vita, tutti sperimentano ardori come i tuoi. Fa parte della crescita. So anche che ti è difficile rinunciare ai consueti piaceri della vita, ma è necessario, per vincere.»

«Sì, maestro.»

Si sedettero al tavolo della cucina, e Oromis cominciò a disporre il materiale per scrivere perché Eragon si esercitasse con la Liduen Kvaedhi. «Sarebbe irragionevole da parte mia aspettarmi che tu dimentichi la tua infatuazione per Arya, ma mi aspetto che tu le impedisca di interferire di nuovo con i miei insegnamenti. Me lo prometti?» «Sì, maestro, te lo prometto.»

«E quanto ad Arya? Secondo te qual è la cosa più onorevole da fare in merito alla situazione?»

Eragon esitò. «Non voglio perdere la sua amicizia.»

«No.»

«Perciò... andrò da lei, le porgerò le mie scuse, e le garantirò che un episodio del genere non si ripeterà mai più.» Gli fu difficile pronunciare quelle parole, ma quando lo ebbe fatto, provò sollievo, come se aver riconosciuto il proprio errore lo avesse liberato.

Oromis parve compiaciuto. «Già questo dimostra che sei maturato.»

I fogli di carta erano lisci al tatto mentre Eragon li appiattiva sul tavolo. Fissò la bianca distesa, poi intinse un calamo nell'inchiostro e cominciò a trascrivere una colonna di glifi. Ogni linea intricata era come un raggio notturno sulla carta, un abisso nero in cui avrebbe desiderato perdersi per tentare di dimenticare i suoi confusi sentimenti.

L'Obliatore

Il mattino seguente, Eragon andò in cerca di Arya per scusarsi. La cercò per oltre un'ora, senza esito. Era come se fosse svanita in uno dei tanti anfratti nascosti di Ellesméra. La intravvide per un attimo mentre sostava davanti all'ingresso del Palazzo di Tialdari e la chiamò, ma lei sgusciò via prima che lui avesse il tempo di raggiungerla. Mi sta evitando, si rese conto, alla fine.

Col passare dei giorni, Eragon si dedicò alle lezioni di Oromis con uno zelo che l'anziano Cavaliere trovò encomiabile, impegnandosi negli studi al fine di distrarsi dal pensiero di Arya.

Notte e giorno si sforzava di fare del suo meglio. Mandò a memoria le parole del fare, del legare e dell'evocare; apprese i veri nomi delle piante e degli animali; studiò i pericoli della transmutazione; imparò a richiamare il vento e il mare; e si impegnò a sviluppare le miriadi di altre capacità necessarie a comprendere le forze del mondo. Negli incantesimi che riguardavano grandi energie - come la luce, il calore e il magnetismo - eccelleva, poiché possedeva il talento per giudicare con precisione quanta forza richiedesse una determinata azione e se superasse quella del suo corpo. Di tanto in tanto, Orik veniva ad assistere, restando in disparte senza commentare, mentre Oromis insegnava a Eragon, oppure Eragon si esercitava da solo in un incantesimo particolarmente difficile.

Oromis gli propose diverse sfide. Lo costrinse a cucinare con la magia, per insegnarli un più sottile controllo della negromanzia; i primi tentativi di Eragon ebbero come risultato una poltiglia bruciacchiata. L'elfo mostrò a Eragon come individuare e neutralizzare veleni di ogni sorta e, da quel momento in poi, Eragon dovette ispezionare ogni volta il cibo in cerca dei diversi veleni che Oromis avrebbe potuto propinargli. Capitò che Eragon restasse senza mangiare per non essere stato in grado di trovare il veleno o, non essendo riuscito a neutralizzarlo, per ben due volte ebbe male allo stomaco e il vecchio elfo dovette guarirlo. Oromis gli fece formulare diversi incantesimi simultaneamente; era necessario un enorme sforzo di concentrazione per dirigere gli incantesimi verso i rispettivi bersagli e impedir loro di spostarsi fra i diversi oggetti che Eragon voleva influenzare.

Oromis dedicò lunghe ore all'arte d'impregnare la materia di energia, per liberarla al momento opportuno o per conferire a un oggetto particolari attributi. Disse: «È in questo modo che Rhunòn stregò le spade dei Cavalieri perché non perdessero mai il filo o si rompessero; che facciamo crescere le piante cantando; che una trappola può essere messa in una scatola, per scattare solo quando la scatola viene aperta; che noi e i nani fabbrichiamo le Erisdar, le nostre lanterne; che puoi guarire un ferito... solo per citare alcuni esempi. Questi sono gli incantesimi più potenti, perché possono giacere dormienti per mille anni e oltre, e sono difficili da percepire o deviare.»

Eragon chiese: «Si può usare questa tecnica per alterare il corpo, o è troppo pericoloso?»

Le labbra di Oromis si arcuarono in un debole sorriso. «Ahimè, hai toccato la più grande debolezza degli elfi: la nostra vanità. Noi amiamo la bellezza in tutte le sue forme, e cerchiamo di rappresentare quell'ideale nel nostro aspetto. Per questo siamo chiamati il Leggiadro Popolo. Ogni elfo appare esattamente come desidera. Quando gli elfi imparano le formule per far crescere e plasmare la materia vivente, spesso scelgono di modificare il proprio aspetto per meglio riflettere la propria personalità. Alcuni elfi sono andati oltre i meri cambiamenti estetici e hanno alterato la propria anatomia per adattarsi ai diversi ambienti, come vedrai durante la Celebrazione del Giuramento di Sangue. Spesso sono più animali che elfi.

«Tuttavia, trasferire il potere a una creatura vivente è diverso che farlo con un oggetto inanimato. Sono pochi i materiali adatti a immagazzinare energia; la maggior parte o la disperdono troppo presto o si caricano di una tale forza che alla minima sollecitazione sprigionano un fulmine. I materiali migliori che abbiamo trovato a questo scopo sono le pietre preziose. I quarzi, le agate e le altre pietre semipreziose non sono efficienti quanto, diciamo, un diamante, ma qualunque gemma va bene. Ecco perché le spade dei Cavalieri hanno sempre una gemma incastonata nel pomo. Ed ecco perché la catena che ti hanno dato i nani, fatta interamente di metallo, deve attingere alla tua energia per alimentare il suo incantesimo, poiché non può conservare energia da sé.»

Quando non era con Oromis, Eragon integrava la sua istruzione leggendo i molti rotoli che l'elfo gli aveva dato, abitudine che ben presto gli divenne irrinunciabile. Era cresciuto con Garrow, che gli aveva insegnato quel tanto che bastava a mandare avanti una fattoria. Le informazioni che scoprì sulle sconfinate distese di carta lo impregnarono come la pioggia impregna un arido deserto, saziando una sete prima sconosciuta. Divorò testi di geografia, biologia, anatomia, filosofia e matematica, e poi memoriali, biografie e storie. Più importante dell'assimilazione dei fatti nudi e crudi fu la scoperta di modi alternativi di pensare, che sfidavano le sue convinzioni e lo costringevano a riesaminare le sue certezze su ogni argomento, dai diritti dell'individuo in seno alla società a ciò che fa muovere il sole nel cielo. Notò che un certo numero di rotoli riguardavano gli Urgali e la loro cultura. Li lesse, ma non ne fece parola, né Oromis accennò all'argomento.

Grazie ai suoi studi, Eragon imparò molto anche sugli elfi, oggetto che lo interessava particolarmente perché avrebbe potuto aiutarlo a comprendere meglio Arya. Rimase sorpreso nell'apprendere che gli elfi non si univano in matrimonio, ma sceglievano un compagno per il tempo desiderato, che fosse un giorno oppure un secolo. I figli erano rari, e avere un bambino era considerato dagli elfi il più grande pegno d'amore.

Eragon imparò anche che da quando le due razze si erano incontrate, erano esistite soltanto pochissime coppie miste, composte soprattutto da Cavalieri umani che avevano trovato un compagno adeguato fra gli elfi. Tuttavia, da quanto riuscì a capire dai criptici archivi, la maggior parte delle relazioni era finita in tragedia, o perché gli amanti non erano riusciti a continuare la relazione, o perché gli umani invecchiavano e morivano mentre gli elfi erano immuni dalle devastazioni del tempo.

Oltre ai testi di carattere non narrativo, Oromis gli fornì copie delle più grandi ballate, poesie e composizioni epiche degli elfi, che catturarono l'immaginazione di Eragon. Le uniche storie che conosceva erano quelle che Brom recitava a Carvahall: perciò assaporò l'epica come un pasto prelibato, gustando a poco a poco Le Gesta di Cèda o La Ballata di Umhodan per prolungare il piacere.

L'addestramento di Saphira procedeva di pari passo. Grazie al loro legame mentale, Eragon vide come Glaedr la sottoponeva a un regime di allenamento duro quanto il suo: decolli con l'impaccio di un peso, scatti di potenza, voli in picchiata e altre acrobazìe. Allo scopo di sviluppare la resistenza, per ore intere Glaedr la costrinse a sputare fuoco contro un pilastro di roccia naturale, nel tentativo di scioglierlo. All'inizio Saphira riusciva a mantenere le fiamme soltanto per qualche minuto di seguito, ma ben presto la lunga vampa di fuoco ruggì dalle sue fauci per mezz'ora ininterrotta, arroventando il pilastro. Eragon apprese anche le tradizioni orali dei draghi che Glaedr insegnò a Saphira, dettagli sulla vita e sulla storia dei draghi che integravano la sua conoscenza istintiva. La maggior parte era incomprensibile per Eragon, e sospettava che Saphira gli nascondesse qualcosa, segreti della sua razza che i draghi non condividevano con nessuno. Una cosa riuscì ad afferrare, una cosa che Saphira riteneva molto preziosa, ossia il nome di suo padre, Iormùngr, e di sua madre, Vervada, che significa Squarciatempeste. Mentre Iormùngr era legato a un Cavaliere, Vervada era una dragonessa selvatica che aveva deposto molte uova, ma ne aveva affidato soltanto uno ai Cavalieri: Saphira. Entrambi erano morti durante la caduta dei Cavalieri.


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