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Volodyk - Paolini2-Eldest

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Название:
Paolini2-Eldest
Автор
Издательство:
неизвестно
ISBN:
нет данных
Год:
неизвестен
Дата добавления:
5 октябрь 2019
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97
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Volodyk - Paolini2-Eldest

Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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Paolini2-Eldest читать онлайн бесплатно

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«Le Pianure Ardenti?»

Dahwar sorrise. «Probabilmente le conosci con il loro antico

nome, quello che usavano gli elfi: Du Vòllar Eldrvarya.»

«Ah, sì.» Adesso Eragon rammentava. Ne aveva letto in una delle pergamene che Oromis gli aveva dato. Le pianure che contenevano enormi depositi di torba - si estendevano lungo la riva orientale dello Jiet, dove i confini del Surda lo attraversavano, ed erano state teatro di una feroce battaglia fra i Cavalieri e i Rinnegati. Durante lo scontro, i draghi avevano inavvertitamente incendiato la torba, e il fuoco scaturito dalle loro fauci era sceso in profondità, dov'era rimasto a covare fin da allora. La terra era diventata inospitale a causa dei fumi nocivi che uscivano dalle bocche rosseggianti aperte nel terreno carbonizzato.

Un brivido corse lungo la schiena di Eragon nel ricordare la premonizione: masse di guerrieri che si scontravano su un campo giallo e arancio, accompagnate dalle grida rauche dei corvi e dal sibilo delle frecce nere. Rabbrividì ancora. Il destino converge su di noi, disse a Saphira. Poi, indicando la mappa: Hai visto abbastanza?

Sì.

Muovendosi in fretta, lui e Orik infilarono le provviste nelle bisacce, rimontarono su Saphira, e dalla sua groppa ringraziarono Dahwar per i suoi servigi. Mentre Saphira stava per prendere il volo, Eragon trasalì: una nota discordante risuonava dalle menti che stava chiamando a sé. «Dahwar, due stallieri litigano nelle scuderie, e uno di loro, Tathal, ha intenzione di uccidere l'altro. Puoi fermarlo, però, se ti affretti a mandare là degli uomini.»

Dahwar spalancò gli occhi esterrefatto, e persino Orik si volse a guardare Eragon. Il siniscalco domandò: «Come lo sai, Ammazzaspettri?»

Eragon si limitò a rispondere: «Sono un Cavaliere.»

Poi Saphira dispiegò le ali, e tutti i presenti indietreggiarono rapidi per non essere investiti dallo spostamento d'aria quando la dragonessa le spinse verso il basso e si librò nel cielo. Mentre il Castello Farnaci rimpiccioliva dietro di loro, Orik chiese: «Riesci a sentire i miei pensieri, Eragon?»

«Vuoi che ci provi? Non l'ho mai fatto, lo sai.»

«Prova.»

Aggrottando la fronte, Eragon concentrò la sua attenzione sulla coscienza del nano e rimase sorpreso nel trovarla ben protetta da forti barriere mentali. Percepiva la presenza di Orik, ma non i suoi pensieri e le sue sensazioni. «Niente.» Orik sogghignò, soddisfatto. «Bene. Volevo essere sicuro di non aver dimenticato le antiche lezioni.» Per tacito accordo, non si fermarono per la notte, ma continuarono a volare nel cielo buio. Non c'era traccia di luna o di stelle, né luci né distanti chiarori a illuminare le tenebre opprimenti. Le ore si trascinarono lente, aggrappandosi a ogni secondo, come riluttanti a concedersi al passato.

Quando finalmente tornò il sole, portando con sé la sospirata luce, Saphira si posò sulle rive di un laghetto perché Eragon e Orik potessero sgranchirsi le gambe, rinfrescarsi e fare colazione senza il costante movimento che subivano stando sulla sua schiena.

Si erano appena levati di nuovo in volo quando una lunga e bassa nube marrone comparve all'orizzonte, come una macchia d'inchiostro scuro su un foglio di carta immacolato. La nube divenne sempre più ampia a mano a mano che Saphira si avvicinava, finché nella tarda mattinata non arrivò a oscurare l'intera terra sotto una cappa di vapori nauseabondi.

Avevano raggiunto le Pianure Ardenti di Alagaésia.

Le Pianure Ardenti

Eragon tossì mentre Saphira perforava lo strato di fumo planando verso il fiume Jiet, nascosto dalla densa foschia. Socchiuse le palpebre e si asciugò le lacrime. I vapori acri gli bruciavano gli occhi.

Vicino al suolo, l'aria era più limpida e permise a Eragon di avere una visuale completa della loro destinazione. Il velo increspato di fumo nero e rosso filtrava i raggi del sole in maniera tale che ogni cosa al di sotto era immersa in una malsana luce arancione. Squarci sporadici nel cielo offuscato lasciavano passare pallidi raggi di luce che colpivano il terreno, dove restavano come pilastri di vetro translucido finché non venivano recisi dalle nubi in movimento. Il fiume Jiet scorreva davanti a loro, gonfio e sinuoso come un serpente satollo; la superficie screziata di ombre rifletteva la stessa spettrale sfumatura che pervadeva le Pianure

incontaminata illuminava il fiume, l'acqua appariva opaca, gessosa,

sembrava risplendere di luce propria.

Ardenti. Perfino quando un raggio di luce come il latte di qualche bestia spaventosa, e

Due eserciti erano schierati lungo la riva orientale del fiume. A sud c'erano i Varden e gli uomini del Surda, appostati dietro numerosi baluardi difensivi, dove avevano disposto eleganti vessilli, file di tende e i destrieri della cavalleria reale di Orrin. Per quanto apparissero forti, il loro numero impallidiva al confronto con la moltitudine di forze assemblate a nord. L'esercito di Galbatorix era così imponente che misurava tre miglia da parte a parte, e quante miglia in lunghezza era impossibile da stabilire, perché i singoli individui si confondevano in una massa scura in lontananza. Fra i due schieramenti di acerrimi nemici c'era una zona franca larga all'incirca due miglia. Quella terra, e la terra su cui erano accampate le milizie, era costellata da innumerevoli orifizi da cui guizzavano verdi lingue di fuoco. Era da quelle livide torce che si levavano i fumi che oscuravano il sole. Non esisteva una sola traccia di vegetazione sul terreno bruciato, a parte chiazze di licheni neri, arancione e verdognoli che dall'alto conferivano alla terra un aspetto pustoloso e infetto.

Era il panorama più ostile che Eragon avesse mai visto.

Saphira emerse dalla cappa di nubi sulla terra di nessuno che separava i due schieramenti; virò e scese in picchiata verso i Varden, alla massima velocità possibile, poiché fino a quando rimanevano esposti all'Impero erano vulnerabili agli attacchi di stregoni nemici. Eragon dilatò la mente in ogni direzione, in cerca di coscienze ostili che potessero percepire la sua presenza invasiva e reagire: le menti degli stregoni e quelle di coloro che erano addestrati a difendersi dagli stregoni.

Quello che invece avvertì fu l'improvviso panico che travolse le sentinelle dei Varden, molte delle quali, si rese conto, non avevano mai visto Saphira. La paura fece loro ignorare il buon senso, e scagliarono un nugolo di frecce per intercettarla.

Alzando la mano destra, Eragon gridò: «Letta orya thorna!» Le frecce si arrestarono in aria. Con uno scatto del polso e la parola "Ganga", Eragon le deviò verso la terra di nessuno, dove si conficcarono nel terreno bruciato senza fare danni. Soltanto una freccia gli sfuggì, perché era stata scagliata qualche secondo dopo la prima raffica. Sporgendosi il più possibile a destra, e più rapido di qualsiasi umano, Eragon afferrò la freccia in volo mentre Saphira la incrociava.

Ad appena cento piedi dal suolo, Saphira dispiegò le ali per rallentare la discesa, e atterrò prima sulle zampe posteriori e poi su quelle anteriori, piombando fra le tende dei Varden spinta dall'inerzia.

«Werg» ringhiò Orik, sciogliendo le cinghie che gli serravano le gambe. «Preferirei trovarmi faccia a faccia con una dozzina di Kull piuttosto che ripetere un atterraggio del genere.» Si lasciò penzolare da un lato della sella, poi saltò sulla zampa davanti di Saphira e da lì, sul terreno.

Mentre anche Eragon smontava, decine di guerrieri attoniti si radunarono intorno a Saphira. Dal centro della mischia si fece largo a spintoni un energumeno che Eragon riconobbe all'istante: era Fredric, il maestro d'armi dei Varden nel Farthen Dùr, che indossava come sempre la corazza irsuta di pelle di bue. «Chiudete quelle bocche penzoloni, idioti!» ruggì Fredric. «Non restate lì impalati; tornate ai vostri posti o vi faccio assegnare il doppio dei turni!» Alle sue parole, la folla cominciò a disperdersi, fra borbottii risentiti e occhiate furtive. Quando Fredric si avvicinò, Eragon notò la sua reazione davanti al proprio aspetto tanto mutato. L'omaccione barbuto fece del suo meglio per nascondere lo stupore toccandosi la fronte e dicendo: «Benvenuto, Ammazzaspettri. Sei arrivato giusto in tempo... Non sai quanto mi vergogno per quell'aggressione. L'onore di ogni uomo sarà macchiato da questa ignominia. Siete rimasti feriti?» «No.»

Il volto di Fredric si distese. «Be', ne sono lieto. Ho fatto sollevare dall'incarico i responsabili. Saranno frustati e degradati... Quale punizione ti sembra più opportuna, Cavaliere?» «Voglio vederli» disse Eragon.

Un'ombra di apprensione si dipinse sul volto di Fredric; era personalmente qualche terribile, innaturale punizione alle sentinelle. Tuttavia non espresse il suo timore, ma disse: «Se vuoi seguirmi, Cavaliere...»

Li condusse attraverso l'accampamento fino a una tenda a strisce d'alto comando, dove una ventina di uomini dall'aria afflitta si stavano spogliando di armi e corazze sotto l'occhio vigile di una dozzina di guardie. Alla vista di Eragon e ovvio che temeva che Eragon volesse infliggere Saphira, i prigionieri posarono un ginocchio a terra e rimasero immobili, con lo sguardo basso. «Salve, Ammazzaspettri!» gridarono all'unisono.

Eragon non disse niente, ma avanzò lungo la fila di soldati studiando le loro menti. I suoi stivali schiacciavano la crosta di terreno bruciato con un sinistro crepitio. Alla fine disse: «Dovreste essere fieri della prontezza con cui avete reagito alla nostra comparsa. Se Galbatorix dovesse attaccare, è esattamente quello che dovete fare, anche se dubito che le frecce sarebbero efficaci con lui, come non lo sono state con me e con Saphira.» Le sentinelle lo guardarono incredule, i volti pervasi dal sollievo che rilucevano come ottone brunito nella luce variegata. «Vi chiedo soltanto, in futuro, di concedervi un istante per identificare il vostro bersaglio, prima di tirare. La prossima volta potrei essere troppo distratto per fermare i vostri dardi. Sono stato chiaro?»

«Sì, Ammazzaspettri!» gridarono quelli.

Fermandosi davanti al penultimo della fila, Eragon gli porse la freccia che aveva afferrato in volo dal dorso di Saphira. «Credo che questa sia tua, Harwin.»

Con espressione sbigottita, Harwin prese la freccia. «È mia! Dipingo sempre una striscia bianca sull'asta per poterle ritrovare in seguito. Grazie, Ammazzaspettri.»

Eragon annuì e si rivolse a Fredric, ma in maniera tale che tutti potessero sentirlo: «Questi sono uomini valorosi, ed esigo che non accada loro nulla di male per colpa di questo incidente.»

«Ti do la mia parola» disse Fredric, e sorrise.

«Ora puoi condurci da ledy Nasuada?»

«Seguimi, Cavaliere.»

Nel voltare le spalle alle sentinelle, Eragon seppe che il suo gesto gli aveva fatto guadagnare la loro lealtà incondizionata, e che ben presto si sarebbe sparsa notizia dell'episodio fra tutti i Varden.

Il percorso che Fredric seguì fra le tende portò Eragon in contatto ravvicinato con più menti di quante ne avesse mai toccate prima. Centinaia di pensieri, immagini e sensazioni si accalcavano nella sua coscienza. Malgrado gli sforzi per tenerle a distanza, non potè fare a meno di cogliere dettagli frammentari della vita di ciascuno. Trovò alcune rivelazioni sconvolgenti, altre insignificanti, altre ancora commoventi, o al contrario rivoltanti, e molte imbarazzanti. Alcuni individui percepivano il mondo in maniera così diversa che le loro menti gli balzavano subito all'occhio proprio a causa della differenza.

Com'e facile considerare questi uomini nient'altro che oggetti che io e pochi altri possiamo manipolare a nostro piacimento. Eppure ciascuno di loro nutre sogni e speranze, ha in sé il potenziale per futuri successi e ricordi di quanto ha già compiuto. E tutti provano dolore.

Un gruppo di menti che toccò si accorsero del contatto e si ritrassero, nascondendosi dietro barriere di forza diversa. Lì per lì Eragon si preoccupò, immaginando di aver scoperto nemici infiltrati tra i Varden, ma poi si rese conto che si trattava dei singoli membri del Du Vrangr Gata.

Saphira disse: Devi averli spaventati a morte. Penseranno di essere aggrediti da qualche oscuro stregone. Non posso convincerli del contrario finché mi ostacolano in questo modo.

Dovrai incontrarli di persona, e presto, anche, prima che decidano di unire le forze e contrattaccare. Già, anche se non credo che rappresentino una vera minaccia. Du Vrangr Gata... Il loro stesso nome tradisce la loro ignoranza. Nell'antica lingua si dovrebbe dire Du Gata Vrangr.

La camminata terminò nella retroguardia dei Varden, davanti a un grande padiglione rosso su cui sventolava uno stendardo ricamato con uno scudo nero su due spade incrociate. Fredric scostò un lembo della tenda d'ingresso, ed Eragon e Orik entrarono nel padiglione. Dietro di loro, Saphira infilò la testa nell'apertura e sbirciò sopra le loro spalle. Un ampio tavolo occupava il centro della grande tenda. Nasuada era in piedi a un'estremità. Eragon si sentì balzare il cuore nel petto quando vide Arya dall'altro lato. Entrambe erano vestite da battaglia, come guerrieri. Nasuada rivolse lentamente il viso ovale verso di lui.

«Eragon?» mormorò.

Lui rimase colpito nel sentirsi tanto felice di rivederla. Con un gran sorriso, ruotò il polso e si portò la mano al petto, nel gesto di fedeltà degli elfi, e s'inchinò. «Per servirti.»

«Eragon!» Questa volta la voce di Nasuada risuonò colma di gioia e sollievo. Anche Arya sembrava lieta. «Come hai fatto a ricevere il nostro messaggio così in fretta?»

«Non l'ho ricevuto; ho saputo dell'esercito di Galbatorix grazie alla cristallomanzia, e sono partito da Ellesméra il giorno stesso.» Le sorrise di nuovo. «È bello ritrovarsi fra i Varden.»

Mentre parlava, Nasuada lo scrutava con meraviglia. «Che cosa ti è successo, Eragon?»

Arya non deve averle detto nulla, osservò Saphira.

E così Eragon le raccontò per filo e per segno quello che era accaduto a lui e a Saphira da quando l'avevano lasciaI

ta nel Farthen Dùr, tanto tempo prima. Capì che Nasuada era già al corrente di molti episodi, che dovevano averle riferito sia i nani che Arya, ma lei lo lasciò parlare senza interromperlo. Eragon fu costretto a essere piuttosto reticente sul proprio addestramento. Aveva dato la propria parola di non rivelare l'esistenza di Oromis senza il suo consenso, e la maggior parte delle lezioni non doveva essere divulgata a estranei, ma fece del proprio meglio per dare a Nasuada un'idea generale delle proprie capacità e dei rischi che correvano. Riguardo all'Agaeti Blòdhren, disse soltanto: «... e durante la celebrazione, i draghi hanno operato su di me il cambiamento che vedi, dandomi le capacità fisiche di un elfo e guarendomi la schiena.»

«La tua cicatrice è scomparsa, dunque?» chiese Nasuada. Eragon annuì. Bastò qualche altra frase concisa per concludere il racconto, con qualche accenno alla ragione per cui avevano lasciato la Du Weldenvarden e una rapida descrizione del loro viaggio fino al Surda. Nasuada scrollò il capo. «Che storia. Tu e Saphira avete vissuto molto, da quando siete partiti dal Farthen Dùr.»


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