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Volodyk - Paolini2-Eldest

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Название:
Paolini2-Eldest
Автор
Издательство:
неизвестно
ISBN:
нет данных
Год:
неизвестен
Дата добавления:
5 октябрь 2019
Количество просмотров:
97
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Volodyk - Paolini2-Eldest

Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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Paolini2-Eldest читать онлайн бесплатно

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«La tua cicatrice è scomparsa, dunque?» chiese Nasuada. Eragon annuì. Bastò qualche altra frase concisa per concludere il racconto, con qualche accenno alla ragione per cui avevano lasciato la Du Weldenvarden e una rapida descrizione del loro viaggio fino al Surda. Nasuada scrollò il capo. «Che storia. Tu e Saphira avete vissuto molto, da quando siete partiti dal Farthen Dùr.»

«Tu non sei stata da meno» disse Eragon, facendo un ampio gesto con la mano. «È stupefacente quello che sei riuscita a realizzare. Dev'essere stata un'impresa colossale, spostare tutti i Varden nel Surda... Il Consiglio degli Anziani ti ha dato problemi?»

«Qualcuno, ma nulla di significativo. A quanto pare, sembrano rassegnati a sottostare alla mia autorità.» La sua cotta d'armi tintinnò quando si sedette su uno scranno dall'alto schienale e si rivolse a Orik, che doveva ancora parlare. Gli porse i suoi saluti e gli domandò se aveva qualcosa da aggiungere al racconto di Eragon. Orik si strinse nelle spalle e narrò un paio di aneddoti sulla loro permanenza a Ellesméra, anche se Eragon ebbe il sospetto che serbasse le sue vere osservazioni per il proprio re.

Quando ebbe finito, Nasuada disse: «Mi rincuora sapere che se riusciremo a sopravvivere a questo attacco, avremo gli elfi dalla nostra. Vi è capitato di scorgere i guerrieri di Rothgar durante il volo da Aberon? Contiamo sui loro rinforzi.» No, rispose Saphira tramite Eragon. Ma era buio, e spesso ho volato sopra e fra le nuvole. In quelle condizioni, avrei potuto facilmente farmi sfuggire un accampamento. Comunque dubito che abbiano seguito il nostro stesso percorso, perché io ho volato diritto da Aberon, mentre i nani devono aver scelto un cammino diverso, magari seguendo le strade battute, piuttosto che avventurandosi nella natura selvaggia.

«Qual è la situazione?» chiese Eragon.

Nasuada sospirò, poi gli raccontò di come lei e Orrin avevano saputo dell'esercito di Galbatorix e delle misure disperate che avevano adottato per raggiungere le Pianure Ardenti prima delle milizie imperiali. Concluse dicendo: «L'Impero è arrivato tre giorni fa. Da allora ci siamo scambiati due messaggi. Nel primo ci hanno chiesto di arrenderci, noi abbiamo rifiutato, e adesso aspettiamo una replica.»

«Quanti sono?» bofonchiò Orik. «Dall'alto sembra un numero impressionante.»

«Già. Secondo le nostre stime, Galbatorix deve aver radunato almeno centomila soldati.»

Eragon non riuscì a trattenersi. «Centomila! Da dove vengono? Sembra impossibile che abbia trovato così tanta gente disposta a servirlo.»

«Sono coscritti. Possiamo soltanto sperare che uomini strappati alle loro case non abbiano tanta smania di combattere. Se riusciamo a intimorirli, potrebbero disertare e fuggire. Noi siamo ben più numerosi che nel Farthen Dùr, perché re Orrin si è unito a noi, e abbiamo accolto un flusso costante di volontari da quando abbiamo cominciato a spargere le voci su di te, Eragon, ma restiamo sempre molto più deboli dell'Impero.»

Poi Saphira chiese, ed Eragon fu costretto a ripetere la terribile domanda: «Quante probabilità di vittoria abbiamo?» «Questo» rispose Nasuada dando particolare enfasi alla parola «dipende in larga misura da te e da Eragon, e dal numero di stregoni che ingrossano le loro fila. Se riuscirete a scovare e distruggere quei maghi, allora i nostri nemici resteranno sguarniti e potrete sterminarli. Una vittoria schiacciante, a questo punto, mi sembra improbabile, ma almeno dovremmo riuscire a tenerli a bada finché non esauriranno le scorte, o finché Islanzadi non accorrerà in nostro aiuto. Questo se... se Galbatorix non scenderà in campo lui stesso. In quel caso, temo che la ritirata sia la nostra unica possibilità.»

In quel preciso momento, Eragon percepì una strana mente avvicinarsi, una mente che sapeva di essere osservata ma non si ritrasse al contatto. Una mente fredda, dura e calcolatrice. Allarmato, si volse e vide in fondo al padiglione la ragazzina dai capelli neri che era comparsa alle spalle di Nasuada quando l'aveva divinata da Ellesméra. La bambina lo guardò con gli occhi violetti, poi disse: «Benvenuto, Ammazzaspettri. Benvenuta, Saphira.»

Eragon rabbrividì al suono della sua voce, una voce da adulta. Con la gola asciutta, chiese: «Chi sei?» Senza rispondere, la bambina si scostò la frangetta nera dalla fronte, per esporre il marchio bianco identico al gedwéy ignasia di Eragon. Fu così che Eragon capì con chi aveva a che fare.

Nessuno si mosse quando lui si avvicinò alla bambina, accompagnato da Saphira che protese ancora di più il collo nel padiglione. Posato un ginocchio a terra, Eragon prese la mano destra della fanciulla; la sua pelle scottava come se avesse la febbre. Lei non oppose resistenza, ma lasciò la mano inerte nella sua. Nell'antica lingua e anche con la mente, perché la bambina potesse capire - Eragon disse: «Sono profondamente addolorato. Potrai mai perdonarmi per ciò che ti ho fatto?»

Lo sguardo della bambina si addolcì. Si protese verso il Cavaliere e lo baciò sulla fronte. «Ti perdono» mormorò, e per la prima volta la sua voce fu quella di una bambina della sua età. «Come potrei non farlo? Tu e Saphira avete fatto di me ciò che sono, e so che non avevi cattive intenzioni. Ti perdono, ma che tu sappia a quale tortura mi hai condannata: la piena consapevolezza di ogni pur minima sofferenza intorno a me. Perfino in questo momento, il tuo incantesimo mi spinge a correre in aiuto dell'uomo che a meno di tre tende di distanza si è tagliato una mano, del giovane alfiere che si è rotto l'indice sinistro fra le stanghe di una ruota, e di tutti coloro che soffrono o stanno per soffrire. Non sai quanto mi costa resistere a questa urgenza, e ancora di più mi costa se provoco deliberatamente un dolore, come sto facendo ora con le mie parole... Non riesco nemmeno a dormire di notte per la forza di questa pressione. Questa è l'eredità che mi hai lasciato, Cavaliere.» Alla fine, la sua voce aveva riacquistato il suo tono amaro e innaturale.

Saphira si interpose fra di loro, e col muso toccò il marchio sulla fronte della bambina. Pace, piccola orfana. C'è troppa rabbia nel tuo cuore.

«Non sarai costretta a vivere così per sempre» disse Eragon. «Gli elfi mi hanno insegnato a disfare un incantesimo, e credo di poterti liberare da questa condanna. Non sarà facile, ma si può fare.»

Per un momento, parve che la bambina perdesse il suo formidabile autocontrollo. Una lieve esclamazione di sorpresa le sfuggì dalle labbra, la sua mano tremò fra quelle di Eragon, e i suoi occhi scintillarono dietro un velo di lacrime. Poi, altrettanto rapidamente, nascose le emozioni dietro una maschera 'di spavaldo cinismo. «Be', vedremo. A ogni buon conto, dovrai aspettare la fine di questa battaglia per provarci.»

«Potrei risparmiarti molte sofferenze già fin d'ora.»

«Non posso permetterti di sprecare le tue energie quando la nostra sopravvivenza dipende da te. Non mi faccio illusioni; so che sei molto più importante di me.» Un sorrisetto astuto le increspò le labbra. «Per giunta, se annulli adesso l'incantesimo, come farò ad aiutare i Varden se vengono minacciati? Non vorrai che Nasuada muoia per questo, vero?»

«Certo che no» ammise Eragon. Fece una lunga pausa per riflettere sul dilemma, poi disse: «D'accordo, aspetterò. Ma ti giuro: se vinceremo questa battaglia, riparerò al torto.»

La bambina inclinò la testa da un lato. «E io ti vincolo alla parola data, Cavaliere.»

Alzandosi dal suo scranno, Nasuada disse: «È stata Elva a salvarmi dal tentativo di omicidio ad Aberon.» «Davvero? In questo caso ti sono ancor più debitore... Elva... per aver protetto la mia signora.»

«Andiamo» li esortò Nasuada. «Devo presentarvi a Orrin e ai suoi nobili. Hai mai incontrato il re, Orik?» Il nano scosse il capo. «Non mi sono mai. spinto così a ovest.»

Nell'uscire dal padiglione, con Nasuada in testa ed Elva che le trotterellava al fianco, Eragon cercò di avvicinarsi ad Arya per poterle parlare, ma c'era quasi riuscito quando l'elfa accelerò il passo per affiancarsi a Nasuada. Arya non lo guardò mai mentre camminava, un disdegno che gli diede più dolore di qualunque ferita fisica. Elva gli rivolse un'occhiata fugace, e lui capì che si era accorta della sua sofferenza.

Ben presto giunsero davanti a un altro padiglione, bianco e giallo, anche se era difficile determinare l'esatta sfumatura dei colori, dato il bagliore arancione che illuminava ogni cosa nelle Pianure Ardenti. Quando fu concesso loro di entrare, Eragon rimase esterrefatto nel trovare la tenda stipata di ogni sorta di alambicchi, ampolle, storte e altri strumenti di filosofia naturale. Chi mai si sarà portato tutta questa roba su un campo di battaglia? si interrogò, perplesso.

«Eragon» disse Nasuada, «vorrei presentarti Orrin, figlio di Larkin e sovrano del regno del Surda.» Dall'intricata foresta di vetro emerse un uomo alto, di bell'aspetto, con i capelli lunghi fino alle spalle tenuti indietro da un cerchietto d'oro che gli cingeva la fronte. La sua mente, come quella di Nasuada, era protetta da barriere di ferro; ovviamente era stato addestrato con zelo a difendersi in quel modo. Eragon ricevette una buona impressione dal loro scambio di frasi, anche se Orrin gli parve un po' acerbo e inesperto quando si trattava di comandare uomini in guerra, e non poco stravagante circa i suoi interessi. Nel complesso, Eragon si fidava molto di più di Nasuada come condottiero. Dopo essersi districato fra le decine di domande che Orrin gli pose sul suo soggiorno fra gli elfi, Eragon si ritrovò a sorridere e ad annuire con garbo davanti a un'interminabile parata di nobili, ciascuno dei quali voleva stringergli la mano, dirgli che era un onore conoscere un Cavaliere, e invitarlo nella sua tenuta. Eragon mandò a memoria a dovere ogni nome e ogni titolo, come avrebbe voluto Oromis, e fece del suo meglio per mantenere un contegno distaccato, anche se dentro fremeva di frustrazione.

Stiamo per affrontare uno dei più grandi eserciti della storia, e stiamo qui a scambiarci convenevoli. Pazienza, lo ammonì Saphira. Ne mancano pochi ormai...

Considerala così: se vinciamo, potremo cenare gratis per un anno intero, con tutti questi inviti.

Eragon represse una risata. Credo che si rimangerebbero la parola, se sapessero quanto ci vuole per sfamarti. Per non parlare di come svuoteresti le loro cantine in una sola notte di bevute.

Non lo farei mai, sbuffò lei. Magari in due.

Quando finalmente presero congedo dal padiglione di Orrin, Eragon chiese a Nasuada: «Che cosa devo fare adesso? Come posso servirti?»

Nasuada lo guardò con una strana espressione. «Come pensi tu di potermi servire meglio, Eragon? Tu sai che cosa sei in grado di fare molto meglio di me.» Perfino Arya lo guardò in quel momento, in attesa di sentire la sua risposta. Eragon alzò gli occhi verso il cielo rosseggiante per riflettere. «Assumerò il controllo del Du Vrangr Gata, come una volta mi chiesero di fare, e li organizzerò per poterli guidare in battaglia. Se agiremo uniti, avremo migliori probabilità di sconfiggere gli stregoni di Galbatorix.»

«Mi sembra un'idea eccellente.»

C'è un posto, intervenne Saphira, dove Eragon può lasciare le bisacce? Non voglio portarle a passeggio più del necessario.

Quando Eragon ripetè la domanda, Nasuada disse: «Ma certo. Puoi deporle nel mio padiglione, e darò disposizioni perché montino una tenda per te, Eragon, dove potrai lasciarle per tutto il tempo che vorrai. Tuttavia ti suggerisco di indossare la tua armatura, prima. Potresti averne bisogno da un momento all'altro... Il che mi rammenta una cosa: abbiamo portato con noi la tua corazza, Saphira. Manderò a prenderla subito.»

«E io che cosa dovrei fare, ledy Nasuada?» chiese Orik.

«Con noi sono venuti diversi knurlan del Dùrgrimst Ingietum, della cui profonda esperienza ci siamo serviti per scavare trincee e innalzare terrapieni. Puoi assumere il loro comando, se lo desideri.»

Orik s'illuminò alla prospettiva d'incontrare altri nani, e per di più del suo stesso clan. Si battè il pugno sul petto e disse: «Lo desidero eccome, mia signora. Ora, se vuoi scusarmi, andrò subito da loro.» E senza indugiare un secondo di più, il nano si volse e si allontanò trotterellando per l'accampamento, puntando a nord, verso le fortificazioni. Tornata al suo padiglione con i quattro rimasti, Nasuada disse a Eragon: «Vieni a riferirmi quando avrai stabilito la strategia col Du Vrangr Gata.» Poi scostò il lembo di tenda dell'ingresso ed entrò nel padiglione, seguita come un'ombra da Elva.

Quando Arya fece per entrare, Eragon tese una mano verso di lei e nell'antica lingua le disse: «Aspetta!» L'elfa si fermò a guardarlo, senza tradire alcuna emozione. Lui sostenne il suo sguardo senza vacillare, fissandola negli occhi, che riflettevano la strana luce intorno a loro. «Arya, non mi scuserò per ciò che provo per te. Ma voglio che tu sappia che mi dispiace per come mi sono comportato durante l'Agaeti Blòdhren. Non ero me stesso quella notte; altrimenti non sarei mai stato così esplicito con te.»

«E non lo farai più?»

Lui le rivolse un sorriso amaro. «Se lo facessi, otterrei forse qualcosa?» Quando lei rimase in silenzio, aggiunse: «Non importa. Non voglio più importunarti, anche se tu...» Si morse le labbra, prima di dire qualcosa di cui sapeva si sarebbe pentito.

L'espressione di Arya si addolcì. «Non ho alcuna intenzione di ferirti, Eragon. Devi capirlo.»

«Capisco» disse lui, ma senza convinzione.

Un lungo, scomodo silenzio seguì fra di loro. «Il volo è andato bene?»

«Abbastanza bene, grazie.»

«Non avete incontrato nessuna difficoltà nel deserto?»

«Avremmo dovuto?»

«No. Volevo soltanto sapere.» Poi, in tono più gentile, Arya gli chiese: «E tu, Eragon? Come sei stato da dopo la celebrazione? Ho ascoltato quello che hai detto a Nasuada, ma non hai parlato che della tua schiena.» «Io...» Eragon cercò di mentire - non voleva che lei sapesse quanto gli era mancata - ma l'antica lingua gli trattenne le parole in gola e lo rese muto. Allora ricorse alla tecnica degli elfi: dire soltanto una parte della verità per dare l'impressione della verità opposta. «Sto meglio di prima» concluse, riferendosi, nella sua mente, soltanto alle condizioni della schiena.

Malgrado il sotterfugio, Arya non parve convinta. Tuttavia non insistette e disse invece: «Ne sono lieta.» La voce di Nasuada risuonò dall'interno del padiglione, e Arya scoccò una rapida occhiata alla tenda prima di parlargli ancora. «Si richiede la mia presenza altrove, Eragon... Anche tu devi andare. Ci aspetta una battaglia.» Sollevando i lembi di tela, l'elfa si accinse a entrare, ma si fermò sulla soglia e voltandosi aggiunse: «Abbi cura di te, Eragon Ammazzaspettri.» E scomparve nel padiglione.

Eragon rimase impietrito dallo sconforto. Aveva fatto quello che desiderava, ma sembrava che non fosse cambiato nulla fra lui e Arya. Strinse i pugni e incurvò le spalle, fissando truce il terreno senza vederlo, fremente di delusione. Trasalì quando Saphira gli sfiorò la spalla con il muso. Andiamo, piccolo mio, gli disse lei con dolcezza. Non puoi restare qui per sempre, e questa sella comincia a darmi fastidio.


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