Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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«Perché non attaccano?» ringhiò Horst.
Perplesso, Roran cercò di trovare una spiegazione, invano. Fu Jeod che suggerì: «Forse c'è troppa luce per loro. I Ra'zac vanno a caccia di notte, e per quanto ne so non abbandonano volentieri le loro tane finché c'è ancora sole nel cielo.»
«Non è soltanto questo» intervenne Gertrude. «Credo che abbiano paura dell'oceano.»
«Paura dell'oceano?» le fece eco Horst, accigliato.
«Guardateli. Non osano avanzare per più di una iarda sull'acqua.»
«Ha ragione!» esclamò Roran. Almeno una debolezza che potrò usare contro di loro!
Qualche secondo dopo, Baldor disse: «Pronto!»
La muraglia umana che lo proteggeva si aprì di colpo, sgombrandogli la mira. Baldor scattò in piedi, avvicinò l'impennaggio alla guancia e scoccò la freccia.
Fu un lancio eroico. Il Ra'zac era al limite della gittata di un arco normale - molto più distante di qualsiasi bersaglio che Roran avesse visto colpire da un arciere - ma Baldor non fallì. La sua freccia colpì la creatura volante al fianco destro, e la bestia lanciò un grido di dolore così potente da infrangere i vetri sul ponte e spaccare le pietre sulla riva. Roran si coprì le orecchie con le mani per proteggerle dal grido feroce. Ancora gridando, il mostro invertì la rotta e si diresse verso l'entroterra per sparire dietro una fila di colline nebbiose.
«L'hai ucciso?» chiese Jeod, pallido in volto.
«Temo di no» rispose Baldor. «Credo di averlo soltanto ferito.»
Loring, che era appena arrivato, osservò con soddisfazione: «Già, ma almeno l'hai colpito, e scommetto che ci penseranno due volte prima di darci ancora fastidio.»
Con un'espressione tetra, Roran disse: «Risparmiati il trionfo per dopo, Loring. Non è stata una vittoria.» «Perché no?» disse Horst.
«Perché adesso l'Impero sa esattamente dove ci troviamo.» Sul casseretto calò il silenzio, mentre tutti riflettevano sulle implicazioni delle sue parole.
Una bambina intraprendente
E questo» disse Trianna «è l'ultimo modello che abbiamo realizzato.» Nasuada prese il velo nero dalle mani della maga e se lo fece scorrere piano piano fra le dita, ammirandone la qualità. Nessun umano avrebbe potuto produrre un merletto così fine. Guardò con soddisfazione le scatole sulla sua scrivania, che contenevano i campioni dei diversi modelli creati dal Du Vrangr Gata. «Ottimo lavoro» disse. «Molto meglio di quanto sperassi. Di' ai tuoi stregoni che mi compiaccio del loro lavoro. Significa molto per i Varden.»
Trianna chinò il capo, lusingata. «Riferirò loro il tuo messaggio, ledy Nasuada.»
«Hanno...»
Un trambusto alla porta dei suoi appartamenti interruppe Nasuada. Sentì le guardie che imprecavano e alzavano la voce, poi un grido di dolore. L'urto di metallo contro metallo risuonò nel corridòio. Nasuada si allontanò dalla porta, in allarme, sguainando il pugnale.
«Fuggì, mia signora!» disse Trianna. La maga si parò davanti a Nasuada e si rimboccò le maniche, scoprendo le bianche braccia per prepararsi a combattere con la magia. «Usa la porta della servitù.»
Ma prima che Nasuada riuscisse a fare un solo passo, la porta principale si spalancò di colpo e una piccola figura la placcò alle ginocchia, gettandola a terra. Nello spazio dove si trovava Nasuada una frazione di secondo prima, sfrecciò un oggetto argenteo che si andò a conficcare nella parete di fondo con un tonfo sordo.
I quattro uomini di guardia si precipitarono nello studio e, nella confusione, Nasuada sentì che la liberavano dal suo aggressore. Quando si rialzò, vide che tenevano stretta la piccola Elva.
«Che significa?» domandò, ansante.
La ragazzina dai capelli neri sorrise, poi si piegò in due e vomitò sul prezioso tappeto. Quando si riprese, guardò Nasuada con i suoi occhi violetti e con voce terribile e colma di saggezza disse: «Fai esaminare il muro dalla tua maga, figlia di Ajihad, e vedi se non ho mantenuto la mia promessa.»
Nasuada fece un cenno a Trianna, che si avvicinò al foro nella parete e mormorò un incantesimo. Tornò tenendo in mano un piccolo dardo metallico. «Era incastrato nel legno.» «Ma da dove veniva?» chiese Nasuada, sconvolta. Trianna indicò la finestra aperta che si affacciava sulla città di Aberon. «Da qualche parte là fuori, immagino.» Nasuada rivolse la sua attenzione alla bambina. «Cosa sai di questa storia, Elva?»
L'orribile sorriso della bambina si allargò. «Era un sicario.»
«Chi lo ha mandato?»
«Un sicario addestrato da Galbatorix in persona nell'uso oscuro della magia.» Le palpebre le calarono sugli occhi ardenti, come se fosse in trance. «Quell'uomo ti odia. È venuto per te. Ti avrebbe uccisa se non fossi intervenuta.» Il suo corpo si contorse in uno spasmo e la bambina vomitò di nuovo, spargendo il contenuto del suo stomaco sul pavimento. Nasuada ebbe un conato di disgusto. «E soffrirà molto per questo.»
«Perché?»
«Perché ti informo che alloggia nell'ostello della strada del Tempio, nell'ultima stanza, all'ultimo piano. Sarà meglio che vi affrettiate, altrimenti scapperà... scapperà...» Gemette come una bestia ferita e si strinse la pancia. «Sbrigatevi, prima che l'incantesimo di Eragon mi costringa a impedirvi di fargli del male. Te ne pentiresti!»
Trianna si stava già muovendo quando Nasuada disse: «Riferisci a Jòrmundur quanto è successo, poi prendi i tuoi stregoni più potenti e rintraccia quell'uomo. Catturatelo vivo, se potete. Altrimenti, uccidetelo.» Quando la maga se ne fu andata, Nasuada guardò le sue guardie e vide che molti perdevano sangue da piccole ferite. Si rese conto di quale sforzo era costato a Elva far loro del male. «Andate» disse agli uomini. «Trovate un guaritore che vi curi quelle ferite.» I soldati scossero il capo, e il capitano disse: «No, mia signora. Resteremo al tuo fianco finché non saremo sicuri che tu non corra più alcun pericolo.»
«Come vuoi, capitano.»
Gli uomini sbarrarono le finestre, aumentando il calore già opprimente che affliggeva il Castello Farnaci, poi tutti si ritirarono nelle stanze più interne per prudenza.
Nasuada camminava avanti e indietro, col cuore in tumulto: solo ora si rendeva conto di quanto era stata vicina alla morte. Che cosa accadrebbe ai Varden se io morissi? s'interrogò. Chi sarebbe il mio successore? Era sgomenta; non aveva lasciato disposizioni ai Varden in caso di sua morte, una negligenza che avrebbe potuto trasformarsi in un disastro di proporzioni immani. Non permetterò che i Varden precipitino nel caos perché ho mancato di prendere precauzioni!
Si fermò. «Sono in debito con te, Elva.»
«Ora e sempre.»
Nasuada trasalì, sconcertata come sempre dalle risposte della bambina, poi continuò: «Mi rincresce di non aver ordinato alle mie guardie di lasciarti passare in qualsiasi momento, giorno e notte. Avrei dovuto prevedere una cosa del genere.»
«Avresti dovuto» ripete Elva, in tono vagamente ironico.
Lisciandosi il davanti della veste, Nasuada ricominciò a misurare la stanza a grandi passi, sia per sfuggire alla vista del volto di Elva, pallido e marchiato dal drago, sia per dissipare la tensione. «Come hai fatto a uscire dalle tue stanze senza compagnia?»
«Ho detto alla mia domestica, Greta, quello che voleva sentirsi dire.»
«Tutto qui?»
Elva ammiccò. «L'ho resa molto felice.»
«E Angela?»
«È uscita stamattina per una commissione.»
«Be', comunque sia, avrai per sempre la mia gratitudine. Chiedimi qualsiasi cosa, e per quanto mi sarà possibile, te la concederò.»
Elva fece scorrere lo sguardo violetto intorno alla stanza, poi disse: «Hai qualcosa da mangiare? Ho tanta fame...»
Venti di guerra
Due ore più tardi, Trianna tornò, seguita da una coppia di soldati che trascinavano fra loro un corpo inerte. A un cenno di Trianna, gli uomini lasciarono cadere il corpo a terra. La maga disse: «Abbiamo trovato il sicario dove aveva detto Elva. Si chiamava Drail.»
Spinta da una curiosità morbosa, Nasuada esaminò il volto dell'uomo che aveva tentato di ucciderla. Il sicario era basso e tarchiato, aveva la barba ed era d'aspetto insignificante, come centinaia di altri uomini che vagavano per la citta. In uno strano senso, si sentiva accomunata a lui, come se il tentativo di ucciderla, e il fatto che lei avesse in cambio ordinato la sua eliminazione, in qualche modo li legasse intimamente. «Com'è morto?» chiese. «Non vedo segni sul cadavere.»
«Si è suicidato con la magia quando abbiamo travolto le sue difese e siamo entrati nella sua mente, appena prima che riuscissimo a prendere il controllo delle sue azioni.»
«Siete riusciti a cogliere qualche informazione utile prima che morisse?»
«Sì. Drail faceva parte di una rete di agenti infiltrati qui nel Surda, fedeli a Galbatorix. Si chiamano la Mano Nera. Ci spiano, sabotano i nostri sforzi e da quanto siamo riusciti a determinare dal fugace sguardo ai suoi ricordi, sono responsabili di decine di omicidi fra i Varden. A quanto pare, aspettavano l'occasione giusta per eliminarti fin da quando siamo arrivati dal Farthen Dùr.»
«Perché questa Mario Nera non ha ancora ucciso re Orrin?»
Trianna si strinse nelle spalle. «Non saprèi. Può darsi che Galbatorix ti consideri più pericolosa di Orrin. Se fosse questo il caso, quando la Mano Nera si renderà conto che sei protetta dai loro attentati...» il suo sguardo si posò per un istante su Elva, «... Orrin non sopravviverà un altro mese, se non verrà sorvegliato dagli stregoni giorno e notte. Oppure Galbatorix si è astenuto da un'azione così clamorosa perché voleva che la Mano Nera restasse segreta. Finora il Surda è sopravvissuto per la sua tolleranza. Ora che è diventato una minaccia...»
«Puoi proteggere anche Orrin?» chiese Nasuada, rivolgendosi a Elva.
I suoi occhi violetti scintillarono. «Se me lo chiede con garbo.»
Nasuada si arrovellò nel tentativo di trovare il modo di difendersi da questa nuova minaccia. «Tutti gli agenti di Galbatorix sono in grado di usare la magia?»
«La mente di Drail era confusa, perciò è difficile stabilirlo» disse Trianna, «ma suppongo che un discreto numero lo sia.»
Magia, imprecò Nasuada fra sé. Per i Varden il maggior pericolo rappresentato dagli stregoni - o da chiunque fosse stato addestrato a usare la propria mente - non era tanto l'assassinio quanto lo spionaggio. Gli stregoni sapevano spiare i pensieri altrui e raccogliere informazioni da usare per distruggere i Varden. Era questo il motivo per cui Nasuada e gli altri vertici dei Varden erano stati addestrati a capire quando qualcuno tentava di toccar loro la mente e a schermarla da simili attenzioni. Nasuada sospettava che Orrin e Rothgar adottassero analoghe precauzioni all'interno dei propri governi.
Tuttavia, poiché era impossibile che tutti coloro che
avevano accesso a informazioni potenzialmente pericolose possedessero quella facoltà, uno dei tanti incarichi del Du Vrangr Gata era rintracciare chiunque tentasse di carpire informazioni non appena entrava nella mente delle persone. Il prezzo di questa vigilanza era che il Du Vrangr Gata finiva per spiare i Varden quanto i nemici, un fatto che Nasuada badava bene a nascondere al grosso della popolazione, perché non avrebbe suscitato altro che malanimo, odio e diffidenza. Non le piaceva, ma non vedeva alternative.
Quello che aveva saputo sulla Mano Nera rafforzò le sue convinzioni: in qualche modo, gli stregoni dovevano essere controllati.
«Perché» chiese «non l'avete scoperto prima? Posso capire che vi sia sfuggito un sicario isolato, ma un'intera rete di stregoni votata alla nostra distruzione? Dammi una spiegazione, Trianna.»
Gli occhi della maga fiammeggiarono all'accusa. «Perché qui, al contrario che nel Farthen Dùr, non possiamo esaminare tutte le menti in cerca di impostori. La popolazione è troppo numerosa per controllare tutti. Ecco perché non abbiamo saputo niente della Mano Nera finora, ledy Nasuada.»
Nasuada tacque per qualche istante, poi chinò il capo. «Capisco. Avete identificato altri membri della Mano Nera?» «Qualcuno.»
«Bene. Usateli per stanare il resto degli agenti. Voglio che distruggiate l'organizzazione per me, Trianna. Eliminali come faresti con un'infestazione di parassiti. Ti darò tutti gli uomini di cui avrai bisogno.»
La maga s'inchinò. «Come desideri, ledy Nasuada.»
Qualcuno bussò alla porta, e le guardie sguainarono le spade e si disposero ai lati della soglia, mentre il capitano apriva la porta di colpo. Si trovò davanti un giovane paggio, con il pugno ancora alzato per bussare di nuovo. Il ragazzo guardò attonito il cadavere sul pavimento per poi voltarsi di scatto quando il capitano gli chiese: «Cosa c'è, ragazzo?» «Un messaggio per ledy Nasuada da parte di re Orrin.»
«Allora parla» disse Nasuada.
Il paggio impiegò un momento per ricomporsi. «Re Orrin ti invita a recarti subito nella sala consiliare, perché ha ricevuto notizie dall'Impero che richiedono la tua immediata attenzione.»
«È tutto?»
«Sì, signora.»
«Devo andare. Trianna, sai cosa fare. Capitano, ordinate a uno dei vostri uomini di sbarazzarsi di Drail.» «Sì, mia signora.»
«E fategli cercare Farica, la mia ancella. Provvedere lei a pulire il mio studio.» «E io?» chiese Elva, alzando la testolina nera.
«Tu» disse Nasuada «mi accompagnerai. Se ti senti abbastanza in forze, s'intende.»
La bambina gettò indietro la testa e dalla boccuccia rotonda emise una gelida risata. «Io sono forte, Nasuada. E tu?» Ignorando la domanda, Nasuada uscì in corridòio, scortata dalle sue guardie. Le pietre del castello emanavano un forte odore di terra nella calura. Alle sue spalle, Nasuada sentiva i passettirii affrettati di Elva, e provò una sorta di piacere perverso per il fatto che la terrificante bambina dovesse correre per tenere il passo con la lunga falcata degli adulti. Le guardie si fermarono nel vestibolo della sala consiliare, mentre Nasuada ed Elva proseguirono. La sala era spoglia e austera, e rifletteva la natura militare del Surda. I re del paese avevano preferito spendere le loro risorse per proteggere la popolazione e opporsi a Galbatorix più che per decorare il Castello Farnaci con una profusione di ricchezze, come avevano fatto i nani a Tronjheim.
Al centro della sala consiliare c'era un tavolo di legno grezzo, lungo dodici piedi, su cui era distesa una mappa di Alagaèsia, con i quattro angoli fissati da un pugnale. Come di consueto, Orrin sedeva a capotavola, mentre i vari ministri - molti dei quali, sapeva Nasuada, le erano apertamente ostili - occupavano le sedie in fondo. Era presente anche il Consiglio degli Anziani. Nasuada notò l'espressione preoccupata di Jòrmundur quando la vide, e intuì che Trianna doveva averlo messo già al corrente.
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