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Volodyk - Paolini2-Eldest

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Название:
Paolini2-Eldest
Автор
Издательство:
неизвестно
ISBN:
нет данных
Год:
неизвестен
Дата добавления:
5 октябрь 2019
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97
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Volodyk - Paolini2-Eldest

Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание

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Paolini2-Eldest читать онлайн бесплатно

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«Sire, hai chiesto di me?»

Orrin si alzò. «Sì, ledy Nasuada. Abbiamo appena...» S'interruppe quando scorse Elva dietro di lei. «Ah, sì, Fronte Splendente. Non ho avuto ancora l'opportunità di darti udienza, anche se ho molto sentito parlare di te. Devo confessare che ero piuttosto curioso di conoscerti. Hai trovato di tuo gradimento gli alloggi che ti ho assegnato?» «Sono alquanto confortevoli, sire. Ti ringrazio.» Nel sentire quella voce innaturale, la voce di un'adulta per bocca di una bambina, tutti i presenti sussultarono.

Irwin, il primo ministro, si alzò di scatto e puntò un dito tremante contro Elva. «Perché hai portato questa... questa aberrazione fra di noi?»

«Dimentichi le buone maniere, ministro» rispose Nasuada, pur comprendendo le ragioni di Irwin. Orrin aggrottò la fronte. «Sì, contieniti, Irwin. Tuttavia la sua obiezione è valida, Nasuada. La bambina non può assistere alle nostre riunioni.»

«L'Impero» disse Nasuada «ha appena tentato di assassinarmi.» La sala echeggiò di esclamazioni di sorpresa. «Se non fosse stato per l'intervento tempestivo di Elva, a quest'ora sarei morta. Quindi gode della mia piena fiducia; dove vado io, viene lei.» Che si chiedano pure che cosa Elva è in grado di fare.

«È una notizia sconvolgente!» esclamò il re. «Avete catturato il responsabile?»

Notando le espressioni bramose dei ministri, Nasuada esitò. «Preferirei parlartene in privato, sire.» Orrin parve contrariato dalla risposta, ma decise di non insistere. «D'accordo. Ma siediti, prego! Abbiamo appena ricevuto un rapporto inquietante.» Quando Nasuada ebbe preso posto di fronte a lui - con Elva in piedi alle sue spalle il re continuò: «Pare che le nostre spie a Gil'ead siano state indotte in errore circa l'entità dell'esercito di Galbatorix.» «Ossia?»

«Loro ritengono che l'esercito si trovi a Gil'ead, mentre abbiamo qui una lettera di un nostro infiltrato a Urù'baen, che avrebbe visto un'enorme milizia marciare oltre la capitale verso sud una settimana e mezzo fa. Era notte, per cui non ha potuto stabilire il numero con precisione, ma è sicuro che fossero molti di più dei sedicimila soldati che compongono il nucleo delle truppe di Galbatorix. Potrebbero essere addirittura centomila, se non di più.»

Centomila soldati! Nasuada si sentì sprofondare il cuore in un pozzo gelido. «Possiamo fidarci della tua fonte?» «I suoi rapporti sono sempre stati attendibili.»

«Non capisco» disse Nasuada. «Come ha fatto Galbatorix a mobilitare tanti uomini senza che noi ne avessimo sentore? Soltanto i convogli delle salmerie dovevano essere lunghi miglia e miglia. Sapevamo che l'esercito si stava muovendo, ma l'Impero era ben lungi dal poterlo schierare.»

Intervenne Falberd, picchiando il pugno sul tavolo. «Siamo stati ingannati. Le nostre spie devono essere state tratte in errore con la magia, perché pensassero che i soldati fossero ancora nelle caserme di Gil'ead.»

Nasuada si sentì gelare il sangue nelle vene. «L'unico in grado di sostenere un'illusione di questa portata e durata...» «È Galbatorix in persona» concluse Orrin. «Anche noi siamo giunti alla stessa conclusione. Significa che Galbatorix è finalmente uscito allo scoperto per uno scontro diretto. Il nero nemico si avvicina.»

Irwin prese la parola. «La domanda adesso è come reagire. Certo, dobbiamo affrontare la minaccia, ma in che modo? Dove, quando e come? Le nostre milizie non sono pronte per una campagna di questa portata, mentre i tuoi uomini, ledy Nasuada, i Varden, sono già abituati al feroce clamore della guerra.»

«Cosa vorresti insinuare?» Che dovremmo farci massacrare per voi?

«Ho soltanto fatto un'osservazione. Pensala come vuoi.»

Orrin disse: «Da soli verremmo annientati, da un esercito così imponente. Dobbiamo trovare degli alleati, e avere Eragon, soprattutto se dovremo affrontare lo stesso Galbatorix. Nasuada, vorresti richiamarlo?»

«Lo farei se potessi, ma finché Arya non torna, non ho modo di comunicare con gli elfi o di convocare Eragon.» «In questo caso» disse Orrin con voce grave «non ci resta che sperare che arrivi presto. Non credo che possiamo aspettarci l'aiuto degli elfi in questo frangente. Anche se un drago può coprire le leghe che separano Ellesméra da Aberon con la rapidità di un falco, sarebbe impossibile per gli elfi marciare per la stessa distanza prima che l'Impero ci raggiunga. Non ci restano che i nani. So che sei amica di Rothgar da molti anni; potresti mandargli una richiesta di aiuto da parte nostra? I nani ci hanno sempre promesso che avrebbero combattuto con noi, al momento del bisogno.» Nasuada annuì. «Il Du Vrangr Gata è in contatto con alcuni stregoni dei nani tramite un sistema di segnalazioni immediate. Riferirò il vostro... il nostro... messaggio. E chiederò a Rothgar di mandare un emissario a Ceris per informare gli elfi della situazione, perché almeno siano avvertiti.»

«Bene. Siamo piuttosto lontani dal Farthen Dùr, ma se riusciamo a rallentare l'Impero per almeno una settimana, i nani potranno raggiungerci in tempo.»

La discussione che seguì fu parecchio tormentata. Esistevano varie tattiche per sconfiggere un esercito più numeroso, anche se non necessariamente più forte, ma nessuno dei presenti riusciva a escogitare un modo per sconfiggere Galbatorix, considerando che Eragon era ancora relativamente impotente in confronto all'antico re. L'unico espediente che poteva avere qualche speranza di successo era circondare Eragon di quanti più stregoni possibile, sia nani che umani, e poi cercare di costringere Galbatorix ad affrontarli da solo. Il punto debole di questo piano, pensò Nasuada, è che Galbatorix ha avuto la meglio su nemici ben più formidabili quando eliminò i Cavalieri, e da allora la sua forza non ha fatto che crescere. Era sicura che anche gli altri ci avessero pensato. Se avessimo i maghi degli elfi a ingrossare le nostre fila, forse potremmo aspirare alla vittoria. Senza di loro... Se non riusciremo a sbarazzarci di Galbatorix, l'unica via di scampo sarà abbandonare Alagaesia per mare e trovare una nuova terra dove ricostruire le nostre esistenze. Poi aspetteremo che Galbatorix muoia. Nemmeno lui può vivere per sempre. L'unica certezza, in questo caos, è che tutte le cose sono destinate a finire, prima o poi.

Passarono dalla tattica alla logistica, e qui il dibattito si fece più acceso quando il Consiglio degli Anziani litigò con i ministri di Orrin per la distribuzione delle responsabilità fra i Varden e il Surda: chi avrebbe sovvenzionato questo o quello, chi avrebbe fornito le razioni agli operai che lavoravano per entrambi, chi si sarebbe sobbarcato le spese per il salario dei soldati, e numerosi altri argomenti spinosi.

Nel bel mezzo dello scontro verbale, Orrin si sfilò un rotolo di pergamena dalla cintura e si rivolse a Nasuada. «In materia di finanze, vorresti essere così gentile da spiegarmi una curiosa questione che è stata portata alla mia attenzione?»

«Farò del mio meglio, sire.»

«Ho in mano una protesta formale da parte della gilda dei tessitori, che asseriscono che i loro membri in tutto il Surda hanno subito un drastico calo dei profitti perché il mercato tessile è stato invaso da merletti a bassissimo costo, merletti che, sono pronti a giurare, vengono realizzati dai Varden.» Il suo volto era addolorato. «Sembra sciocco persino chiedertelo, ma la loro protesta è fondata: e in questo caso, perché i Varden avrebbero fatto una cosa del genere?»

Nasuada non fece nulla per nascondere il suo sorriso. «Se ben ricordi, sire, quando hai negato ai Varden un ulteriore prestito, mi hai consigliato di trovare un altro modo per provvedere a noi stessi.»

«Ricordo. E dunque?» chiese Orrin, gli occhi ridotti a due fessure.

«Ebbene, mi è venuto in mente che mentre ci vuole molto tempo per realizzare i merletti a mano, ed è il motivo per cui costano tanto, avrei potuto facilmente produrli con la magia, grazie all'esigua quantità di energia necessaria. Proprio tu, fra tutti, un filosofo naturalista, dovresti apprezzare la mia idea. Con la vendita dei merletti qui e nell'Impero siamo riusciti a provvedere a noi stessi. I Varden non hanno più bisogno di elemosinare vitto e alloggio.» Poche cose nella vita le avevano dato una così grande

soddisfazione quanto l'espressione incredula di Orrin in quel momento. La mano paralizzata che reggeva la pergamena sospesa sul tavolo, la bocca semiaperta, la fronte aggrottata, tutto contribuiva a dare al re l'aspetto di un uomo confuso, che non capisce quello che vede. Nasuada si godette la scena.

«Merletti?» balbettò Orrin.

«Esatto, sire.»

«Ma non puoi combattere Galbatorix con i merletti!»

«Perché no, sire?»

Orrin esitò un momento, poi ringhiò: «Perché... perché non è decoroso, ecco perché. Quale bardo si sognerebbe mai di comporre un poema epico sulle nostra gesta e scrivere di merletti?»

«Non combattiamo perché le nostre gesta siano lodate nei poemi epici.»

«Al diavolo i poemi epici! Come dovrei rispondere alla protesta della gilda? Vendendo i tuoi merletti a un prezzo così basso, tu danneggi la vita del mio popolo e pregiudichi la nostra economia. Non è giusto. Non è affatto giusto.» Con un sorriso sempre più accattivante e gentile, Nasuada usò il suo tono più mellifluo per rispondere: «Oh, mio caro sire. Se per le tue finanze è un fardello troppo grave, i Varden saranno più che disposti a offrirti un prestito per la generosità che ci hai dimostrato... a un equo tasso d'interesse, s'intende.»

Il Consiglio degli Anziani riuscì a stento a mantenere un contegno, ma alle spalle di Nasuada, Elva ridacchiò divertita.

Lama rossa, lama bianca

Nel momento stesso in cui il sole comparve oltre l'orizzonte di alberi, Eragon riportò il respiro alla normalità, accelerò i battiti cardiaci e aprì gli occhi, tornando alla piena coscienza. Non si era propriamente svegliato dal sonno, perché dalla sua trasformazione non dormiva più. Quando si sentiva stanco e si stendeva per riposare, entrava in una sorta di veglia sognante. Aveva molte visioni meravigliose e camminava fra le ombre grigie dei propri ricordi, pur restando consapevole di quanto lo circondava.

Guardò il sorgere del sole e pensò ad Arya; erano due giorni, dalla fine dell'Agaetì Blòdhren, che non faceva altro. La mattina dopo la celebrazione, era andato a cercarla nel Palazzo di Tialdari - con l'intenzione di scusarsi per il proprio comportamento - ma aveva scoperto che era già partita per il Surda. Quando la rivedrò? si domandava. Alla luce del giorno, si era reso conto di quanto la magia degli elfi e dei draghi gli avessero ottenebrato il senno durante l'Agaeti Blòdhren. Mi sarò anche comportato da sciocco, ma non è stata del tutto colpa mia. Era come se fossi ubriaco. Eppure era convinto di ogni parola che aveva detto ad Arya, anche se in circostanze normali non avrebbe rivelato così tanto di sé. Il rifiuto di lei lo aveva ferito nel profondo. Libero da incantesimi che gli annebbiavano la mente, era stato costretto ad ammettere che probabilmente l'elfa aveva ragione, che la differenza di età era un ostacolo troppo grande. Era una cosa difficile da accettare, e quando lo ebbe fatto, la consapevolezza non fece che accrescere la sua angoscia. Eragon aveva sentito l'espressione "cuore spezzato", ma fino ad allora l'aveva sempre considerata una descrizione astratta, non un vero sintomo fisico. Ora invece avvertiva un profondo dolore nel petto - come se avesse un muscolo dolente - e ciascun battito del cuore gli faceva male.

Il suo unico conforto era Saphira. In quei due giorni, lei non lo aveva mai criticato per quanto aveva fatto, né lo aveva lasciato da solo per più di qualche minuto; gli aveva offerto il sostegno della sua compagnia. Gli parlava a lungo, facendo del suo meglio per tirarlo fuori dal suo guscio di silenzio.

Per smettere di pensare ad Arya, Eragon prese il rompicapo ad anelli di Orik dal comodino e se lo rigirò fra le dita, meravigliandosi per la nuova acutezza dei suoi sensi. Percepiva ogni difetto del metallo. Mentre studiava il cerchio, avvertì uno schema nella disposizione delle fasce d'oro, un disegno che prima gli era sfuggito. Affidandosi all'istinto, manipolò le fasce nella sequenza suggerita dall'osservazione. Con sommo piacere, gli otto pezzi s'incastrarono formando un unico anello. Se lo infilò all'anulare della mano destra, ammirando come le fasce catturavano la luce. Prima non ci riuscivi, disse Saphira dalla pedana dove dormiva.

Adesso vedo molte cose che prima mi erano nascoste.

Eragon andò nel camerino da bagno ed eseguì la consueta serie di abluzioni mattutine, compresa la rasatura del viso con un incantesimo. Malgrado fosse diventato molto simile a un elfo, la sua barba continuava a crescere. Orik li stava aspettando quando Eragon e Saphira arrivarono sul campo di addestramento. I suoi occhi scintillarono quando Eragon gli mostrò l'anulare con il rompicapo risolto. «Ci sei riuscito!»

«Mi ci è voluto più di quanto mi aspettassi» disse Eragon. «Sei qui per allenarti anche tu?»

«Eh. Mi sono già scontrato con l'ascia con un elfo che si è divertito a colpirmi in testa. No... sono venuto per guardarti combattere.»

«Mi hai già visto altre volte» sottolineò Eragon.

«Sì, ma è passato parecchio tempo dall'ultima.»

«Vuoi dire che sei curioso di vedere come sono cambiato.» Orik rispose con una scrollata di spalle. Vanir si avvicinava dall'altro lato del campo. «Sei pronto, Ammazzaspettri?» gridò. L'atteggiamento sprezzante dell'elfo si era ridotto dal loro ultimo duello prima dell'Agaetì Blòdhren, ma non di molto.

«Sono pronto.»

Eragon e Vanir si misero in posizione in un'area sgombra del campo. Svuotando la mente, Eragon afferrò ed estrasse Zar'roc il più rapidamente possibile. Con sua sorpresa, la spada gli diede la sensazione di non pesare più di un fuscello. Senza l'attesa resistenza, il braccio di Eragon scattò all'indietro come una molla, perdendo la spada che volò roteando per venti iarde prima di conficcarsi nel tronco di un pino.

«Non sai nemmeno tenere la spada in mano, Cavaliere?» lo canzonò Vanir.

«Ti chiedo scusa, Vanir-vodhr» rispose Eragon, sbalordito. Si massaggiò il gomito per alleviare il dolore all'articolazione. «Non ho saputo valutare la mia forza.»

«Vedi che non si ripeta.» Andando verso l'albero, Vanir afferrò l'elsa di Zar'roc e tentò di liberarla. L'arma rimase immobile. Le sopracciglia di Vanir si incresparono quando scrutò la lama rossa, come se sospettasse qualche trucco. Facendosi forza, l'elfo si curvò all'indietro e con uno schianto di legno strappò Zar'roc dal pino.

Eragon accettò l'arma dalle mani di Vanir e la soppesò, preoccupato da quanto era leggera. C'è qualcosa che non va, si disse.

«In guardia!»

Questa volta fu Vanir a iniziare il duello. Con un solo balzo, coprì la distanza che li separava e tentò un affondo contro la spalla destra di Eragon. Eragon ebbe l'impressione che l'elfo si muovesse più lentamente del solito, come se i suoi riflessi fossero scesi al livello di un umano. Fu facile per Eragon deviare la spada di Vanir, e azzurre scintille sprizzarono dal metallo delle lame.


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