Volodyk - Paolini2-Eldest
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Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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Sgomento, Eragon si rese conto di aver incluso anche Oromis nella sua ricerca. «Mi dispiace, maestro» disse, mortificato. Riprese il processo, attento a non attingere alla vitalità dell'elfo, e quando si sentì pronto, ordinò: «Su!» Silenziosa come la notte, una sfera d'acqua larga un palmo si levò dal ruscello e fluttuò verso Eragon. E sebbene Eragon sperimentasse la consueta tensione derivante da uno sforzo intenso, l'incantesimo non lo affaticava affatto. La sfera si trovava in aria da appena un istante quando un'ondata di morte travolse le creature più piccole con cui Eragon era in contatto. Una fila di formiche si rovesciò inerte. Un topolino annaspò ed entrò nel vuoto perdendo la forza che gli faceva battere il cuore. Un certo numero di piante avvizzirono, sbriciolandosi in polvere. Eragon trasalì, inorridito da quanto aveva causato. Il nuovo rispetto che provava per la sacralità della vita lo induceva a ritenere di aver commesso un crimine agghiacciante, e cosa ancora peggiore, l'intimo legame che lo collegava a ogni essere che aveva cessato di esistere gli aveva dato la sensazione di essere morto centinaia di volte. Sciolse il contatto con la magia - facendo cadere la sfera con un tonfo liquido - e poi si volse di scatto verso Oromis, ringhiando: «Tu lo sapevi!»
Un'espressione di profonda costernazione si dipinse sul volto del vecchio Cavaliere. «Era necessario» rispose. «Necessario che così tanti morissero?»
«Necessario affinchè comprendessi il terribile prezzo che costa usare questo tipo di magia. Le semplici parole non possono descrivere la sensazione di far morire quelli di cui condividi la mente. Dovevi sperimentarlo sulla tua pelle.» «Non lo farò mai più» giurò Eragon.
«Non sarà necessario. Se sarai disciplinato, potrai scegliere di attingere al potere solo di quelle piante e di quegli animali che possono sopportare la perdita di energia. Non è praticabile in battaglia, ma ti servirà durante le lezioni.» Oromis gli fece un cenno e, ancora fremente di rabbia, Eragon permise all'elfo di reggersi a lui nel tornare al capanno. «Capisci ora perché non insegnavamo questa tecnica ai giovani Cavalieri. Se l'avesse imparata uno stregone con cattive intenzioni, avrebbe potuto distruggere ogni cosa intorno a sé, soprattutto perché sarebbe difficile fermare chiunque avesse accesso a tanto potere.» Una volta dentro, l'elfo sospirò e si accasciò sulla sedia, congiungendo i polpastrelli davanti a sé.
Anche Eragon si sedette. «Dato che è possibile assorbire energia dalla...» fece un ampio gesto con la mano «... dalla vita, è possibile anche assorbirla direttamente dalla luce o dal fuoco, o dalle altre forme di energia?» «Ah, Eragon, se così fosse potremmo distruggere Galbatorix in un batter d'occhio. Possiamo scambiare energia con gli altri esseri viventi, possiamo usare quell'energia per muovere i nostri corpi o alimentare un incantesimo, e possiamo persino immagazzinare l'energia in alcuni oggetti per un futuro utilizzo, ma non possiamo assorbire le fondamentali forze della natura. La ragione ci dice che è possibile, ma nessuno è mai riuscito a elaborare un incantesimo che lo consenta.»
Nove giorni dopo, Eragon si presentò da Oromis e disse: «Maestro, stanotte mi è venuto in mente che né tu, né le centinaia di pergamene che mi hai fatto leggere parlate della vostra religione. In che cosa credono gli elfi?» Un lungo sospiro fu la prima risposta di Oromis. Poi: «Noi crediamo che il mondo segua certe leggi inviolabili e che, grazie a uno sforzo tenace, possiamo scoprire queste leggi e usarle per predire eventi quando le circostanze si ripetono.»
Eragon battè le palpebre. Questo non rispondeva a quanto voleva sapere. «Ma chi o che cosa venerate?» «Nulla.»
«Venerate il concetto del nulla?»
«No, Eragon. Non veneriamo nulla.»
Il pensiero era così remoto che ci volle qualche istante perché Eragon afferrasse il significato delle parole di Oromis. Gli abitanti di Carvahall non seguivano una dottrina specifica, ma condividevano una serie di superstizioni e rituali che in gran parte erano diretti a scongiurare la malasorte. Nel corso del suo addestramento, Eragon aveva compreso che molti dei fenomeni che i suoi compaesani attribuivano a forze sovrannaturali non erano che semplici processi naturali, come quando aveva visto, nelle sue meditazioni, che le larve nascono da uova di mosca invece che spuntare d'incanto dal terreno, come aveva creduto fino ad allora. Né aveva più alcun senso per lui fare offerte di cibo per impedire agli spiriti di inacidire il latte, dato che adesso sapeva che il latte inacidiva per la proliferazione di microscopici organismi contenuti nel liquido. Eppure, Eragon restava convinto che forze ultraterrene influenzassero il mondo in modi misteriosi, una credenza che la frequentazione dei nani aveva alimentato. Disse: «Da dove pensi che venga il mondo, allora, se non è stato creato dagli dei?»
«Quali dei, Eragon?»
«I vostri dei, gli dei dei nani, gli dei degli umani... qualcuno deve averlo pur creato.»
Oromis inarcò un sopracciglio. «Non sono d'accordo con quanto sostieni, ma d'altro canto, non posso provare che gli dei non esistono. Né posso provare che il mondo e tutto quanto esso contiene non sia stato creato da un'entità, o più entità, nel remoto passato. Ma posso dirti che nel corso dei millenni in cui gli elfi hanno studiato la natura, non abbiamo mai assistito a un evento nel quale le regole che governano il mondo siano state infrante. Ossia non abbiamo mai visto un miracolo. Molti eventi esulano dalla nostra capacità di comprensione, ma siamo convinti di non essere riusciti a dare una spiegazione perché siamo ancora profondamente ignoranti sull'universo, e non perché una divinità ha alterato l'opera della natura.»
«Un dio non dovrebbe per forza alterare la natura per
realizzare la propria volontà» obiettò Eragon. «Potrebbe farlo all'interno del sistema che già esiste... Potrebbe usare la magia per influire sugli eventi.»
Oromis sorrise. «Verissimo. Ma fatti questa domanda, Eragon: se gli dei esistono, sono stati buoni custodi di Alagaésia? Morte, malattia, povertà, tirannia, e altri innumerevoli calamità affliggono la terra: se questa è opera di esseri divini, non sarebbe giusto allora ribellarsi e negare loro rispetto, obbedienza e devozione?»
«I nani credono...»
«Appunto! I nani credono. Su determinati argomenti, i nani si basano più sulla fede che sulla ragione. Arrivano persino a ignorare fatti dimostrati che contraddicono i loro dogmi.»
«Ossia?» chiese Eragon.
«I sacerdoti dei nani considerano il corallo una prova per dimostrare che la pietra è viva e può crescere, avallando la loro credenza secondo cui Helzvog creò la razza dei nani dal granito. Ma noi elfi abbiamo scoperto che il corallo non è altro che un esoscheletro secreto da minuscoli animali che vivono all'interno del corallo. Qualunque mago può percepire quegli animali, se apre la mente. L'abbiamo spiegato ai nani, ma loro si sono rifiutati di ascoltarci, dicendo che la vita che sentiamo risiede in ogni pietra, anche se i loro sacerdoti sarebbero gli unici a poter rilevare la vita nelle rocce di terraferma.»
Per lunghi minuti, Eragon guardò fuori dalla finestra, riflettendo sulle parole di Oromis. «Non credi nell'aldilà, quindi.» «Da quanto mi ha detto Glaedr, già lo sai.»
«E non hai fede negli dei.»
«Noi riponiamo fede soltanto in ciò di cui possiamo provare l'esistenza. Poiché non siamo stati in grado di provare che gli dei, i miracoli e gli altri eventi soprannaturali sono reali, non ce ne occupiamo. Se per caso le cose dovessero cambiare, se lo stesso Helzvog decidesse di rivelarsi a noi, potremmo sempre rivedere la nostra posizione alla luce di questa nuova informazione.»
«Si direbbe un mondo freddo, senza... qualcosa di più.» «Al contrario» disse Oromis, «è un mondo migliore. Un luogo dove siamo responsabili delle nostre azioni, dove possiamo essere buoni l'uno con l'altro per scelta, e perché è la cosa giusta da fare, invece che per paura di una punizione divina. Non ti dirò in che cosa credere, Eragon. È molto meglio insegnarti a pensare criticamente per poi lasciare a te la scelta, invece che imbottirti di convinzioni altrui. Tu mi hai chiesto della nostra religione, e io ti ho risposto in tutta sincerità. Puoi farne ciò che vuoi.»
Il colloquio, sommato alle precedenti preoccupazioni, lasciò Eragon così turbato che ebbe difficoltà a concentrarsi nei suoi studi i giorni seguenti, anche quando Oromis cominciò a mostrargli come cantare alle piante, una cosa che Eragon era avido di apprendere.
Eragon si accorse che le sue esperienze lo avevano già indotto ad assumere un atteggiamento più scettico; in linea di principio, concordava con la maggior parte di quanto sosteneva Oromis. Il problema che lo affliggeva, però, era che se gli elfi avevano ragione, significava che i nani e gli umani si illudevano, cosa che trovava difficile da accettare. Così tanta gente non può sbagliarsi, si ripeteva.
Quando chiese il suo parere a Saphira, la dragonessa rispose: Per me ha poca importanza, Eragon. I draghi non hanno mai creduto in entità superiori. Perché dovremmo, quando i cervi e gli altri animali considerano noi entità superiori? Eragon sorrise. Ti avverto soltanto: non ignorare la realtà per trovare conforto, perché altrimenti rendi più facile agli altri ingannarti.
Quella notte, nel suo stato di veglia sognante, Eragon fu tormentato dai dubbi, che vagavano per la sua mente come un orso ferito, strappando immagini disparate dai suoi ricordi per mescolarle in una tale confusione da dargli l'impressione di essere tornato nella mischia furibonda del Farthen Dùr. Vide Garrow disteso sul suo letto di morte in casa di Horst, poi Brom morto nella solitària caverna di arenaria, e poi Angela l'erborista che sussurrava: "Attento, Argetlam, il tradimento è evidente. E verrà da qualcuno della tua famiglia. Attento, Ammazzaspettril"
Voi il deh cremisi si squarciò ed Eragon vide di nuovo i due eserciti schierati come nella sua premonizione fra i Monti Beor. Le masse di guerrieri si scontrarono su un campo giallo e arancio, accompagnate dalle grida rauche dei corvi e dal sibilo delle frecce nere. La terra stessa sembrava bruciare: fiamme verdi eruttavano da oscure fosse che punteggiavano il suolo, bruciando i cadaveri accatastati sulla scia degli eserciti. Sentì il ruggito di una bestia gigantesca che dall'alto... Eragon balzò a sedere sul letto e afferrò la catena dei nani che gli ardeva al collo. Usando la tunica per proteggersi la mano, scostò il martello d'argento dalla pelle e rimase in attesa nel buio, col cuore che gli batteva forte per la sorpresa. Sentì la propria energia scemare mentre l'incantesimo di Gannel bloccava chiunque stesse cercando di divinare lui e Saphira. Ancora una volta si chiese se ci fosse lo stesso Galbatorix dietro la magia, o se fosse soltanto uno degli stregoni del re.
Eragon aggrottò la fronte e lasciò il martello quando sentì che il metallo tornava freddo. Qualcosa non va. Ne sono sicuro, e lo so da un pezzo, come lo sa Saphira. Troppo turbato per tornare nello stato di trance che ormai aveva sostituito il sonno, sgattaiolò dalla camera da letto senza svegliare Saphira, e salì la scala a chiocciola che portava allo studio. Tolse lo schermo a una lanterna bianca e lesse uno dei poemi epici di Analisia fino all'alba, nel tentativo di calmarsi.
Proprio mentre richiudeva il rotolo, Blagden entrò dal varco nella parete e con un frullo d'ali si posò su un angolo della scrivania intagliata. Il corvo bianco fissò Eragon f con gli occhietti rotondi e gracchiò: «Wyrda!» Eragon chinò il capo. «E che le stelle ti proteggano, mastro Blagden.» Il corvo zampettò più vicino. Inclinò la testa da un lato ed emise un colpo di tosse, come se si stesse schiarendo la gola, poi recitò con voce roca:
Per il becco e l'osso,
con la mia pietra nera posso
vedere inganni, tradimenti
e insanguinate correnti!
«Cosa significa?» chiese Eragon.
Blagden scrollò le spalle e ripetè i versi. Quando Eragon insistette per avere una spiegazione, l'uccello arruffò le penne, con aria delusa, e gracchiò: «Tale padre tale figlio, ciechi come talpe.»
«Aspetta!» esclamò Eragon, balzando in piedi. «Conosci mio padre? Chi è?»
Blagden tossicchiò ancora. Questa volta parve che ridesse.
Se due può dividere due,
e uno di due è certamente uno,
uno potrebbe essere due.
«Un nome, Blagden. Dammi un nome!» Davanti all'ostinato silenzio del corvo, Eragon dilatò la mente per carpire l'informazione dai ricordi dell'uccello.
Ma Blagden era scaltro e deviò la sonda mentale di Eragon con un guizzo di pensiero. Strillando: «Wyrda!» si avventò sul tappo di vetro di una boccetta d'inchiostro e si allontanò in volo con il trofeo stretto nel becco. Scomparve alla vista ancor prima che Eragon potesse evocare un incantesimo per riportarlo indietro.
Eragon si sentì attanagliare le viscere mentre cercava di decifrare i due enigmi di Blagden. L'ultima cosa che si sarebbe aspettato era di sentir parlare di suo padre a Ellesméra. Infine borbottò: «E sia.» Scoverò Blagden e gli strapperò la verità. Ma per il momento... dovrei essere un pazzo per ignorare quelle visioni. Corse di sotto e svegliò Saphira con la mente per raccontarle quello che aveva visto durante la notte. Preso lo specchio nel camerino da bagno, Eragon si sedette fra le due zampe anteriori di Saphira perché anche lei vedesse quello che vedeva lui.
Arya non gradirà un'invasione della sua intimità, l'ammonì Saphira. Devo sapere se è al sicuro.
Saphira accettò senza altre proteste. Come farai a trovarla? Hai detto che dopo la sua prigionia ha eretto intorno a sé barriere magiche, come la tua collana, per impedire a chiunque di divinarla.
Se riesco a divinare le persone che sono con lei, forse riuscirò a vedere come sta. Concentrandosi su un'immagine di Nasuada, Eragon passò una mano sullo specchio e pronunciò la consueta frase: «Rifletti l'immagine!» Lo specchio tremolò e divenne bianco, mostrando soltanto nove persone sedute intorno a un tavolo. Fra di loro, Eragon riconobbe Nasuada e il Consiglio degli Anziani, ma non riuscì a identificare una strana ragazzina vestita di nero, rannicchiata alle spalle di Nasuada. Rimase sconcertato, perché la cristallomanzia consentiva di divinare cose o persone già viste, ed Eragon era sicuro di non aver mai posato lo sguardo su quella bambina. Se ne dimenticò subito quando si accorse che gli uomini, e perfino Nasuada, erano in tenuta da combattimento.
Ascoltiamo le loro voci, suggerì Saphira.
Nell'istante in cui Eragon apportò la necessaria modifica all'incantesimo, dallo specchio risuonò la voce di Nasuada: "... e il caos ci distruggerà. I nostri guerrieri non possono seguire che un solo comandante in questo conflitto. Decidi chi dovrà essere, Orrin, e in fretta."
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